Lo Smart Working è morto? Alla ricerca dell’equilibrio nella posizione
Smart Working, sì o no? Discussione che tralascia il vero smart working, quello che offre l'opportunità di un equilibrio nel lavoro.
Smart Working sì; Smart Working no. Tutti a lavorare a casa; tutti devono tornare in ufficio. Questa è la discussione del momento, sembra necessario schierarsi nella posizione tra i favorevoli e i contrari. Chi vede nel lavoro agile solo opportunità, chi urla a gran voce la necessità di rientrare nelle sedi aziendali. Tutto questo sempre trascurando il dato più importante: le percezioni della quasi totalità delle persone che ne parlano si basano sul lavoro emergenziale, in pandemia, e non sul vero Smart Working. Ormai il danno è stato fatto. La maggior parte dei lavoratori assocerà per sempre, nel bene e nel male, alla parola Smart Working questa eccezionale esperienza.
Ancora una volta sento il bisogno di ribadire che il termine è stato utilizzato troppo e male, tanto che si ha la sensazione che anche chi in modo automatico – quasi per moda – specifica “Sì, ma questo non è Smart Working, è lavoro ai domiciliari”, in fondo pensa che stia facendo il lavoro agile, Smart.
Povero Smart Working. Così discusso che un giorno, in un Webinar, dal cuore, provocatoriamente, ho risposto “Lo Smart Working è morto”. Provocazione già lanciata da Andrea Solimene qui (ancor prima della pandemia) e ripresa in un recente evento promosso dallo Studio Furfaro, su cui a breve in questo articolo riporterò una sintesi.
Lo smart working è morto? No, semplicemente il vero smart working è un’altra cosa
È un dato di fatto: dobbiamo dare un nome noto per provare ad avere un minimo di sicurezza in una situazione completamente fuori controllo. Abbiamo deciso di chiamare questa emergenza lavorativa “Smart Working”, e così è diventato il capro espiatorio di una situazione più grande di ogni crisi umana.
Tra le varie, ci stiamo dicendo che:
- I giovani stanno cambiando idea, non vogliono più quello Smart Working che tanto desideravano prima;
- Lo Smart Working abbassa la creatività;
- Lo Smart Working ci rende schiavi delle organizzazioni.
Ancora una volta: nessuno sta facendo Smart Working da più di un anno. E ciò che ci stiamo raccontando non permette la nostra vera R-evoluzione.
Se tutti smettessimo di parlare di Smart Working, inizieremmo a vedere più lucidamente ciò che stiamo vivendo e proveremmo a ragionare sulla trasformazione in atto, che necessita un radicale cambiamento di tutte le abitudini personali e professionali. E, ad esempio, richiede con urgenza di occuparsi di salute mentale e fisica.
E sì, servirebbe anche un nuovo nome, per lasciare in pace questo povero Smart Working, che è nato fondandosi sulla libertà, che ci è stata tolta da un unico fattore: la pandemia.
Continuo a sostenere che non è più il momento dei manifesti, ma della vera rivoluzione nelle organizzazioni. Serve un concreto Change Management, che riparta dalle vere esigenze delle persone – ascoltandole seriamente – e ridisegni completamente processi e procedure, individuando gli strumenti nuovi (che non è detto siano tra quelli attualmente esistenti, visto che viviamo una situazione completamente nuova).
Una cosa, ad esempio, che servirebbe nell’immediato: un numero massimo di riunioni al giorno, e a questo proposito condivido come lettura interessante sul tema “Our Brains Need Breaks From Virtual Meetings”. E non sto scherzando nel proporre che siano obbligatori alcuni nuovi divieti, a favore della nostra salute mentale e fisica.
Senza salute mentale, non esistono “New Ways of Working” ma purtroppo ancora prevale il pensiero arcaico, con tutti i relativi pregiudizi. Ed è più semplice e comodo occuparsi di altro. E intanto le persone stanno male e se possono se ne vanno, perché non si vede più il senso in tutto questo lavoro, spesso tossico. Consiglio di leggere “It’s Time For Business Leaders To Come Together On Mental Health”.
Come sostenuto anche da Stefano Besana – Digital & Future of Work Lead at EY – in un suo recente articolo:
Il ripensamento dei modelli di lavoro è assolutamente necessario anche per la gestione dello stress e dell’affaticamento che deriva dall’impiego di strumenti e di canali digitali. Spossatezza, stress, difficoltà nel gestire i compiti più semplici, senso di smarrimento, mancanza di uno scopo e di una visione sensata del lavoro. È quanto riportano oltre il 48% degli intervistati all’interno di una ricerca condotta da EY negli ultimi mesi di emergenza sanitaria Covid-19 su un campione di oltre 990 professionisti di diverse industry, seniority, settore e area geografica.
Come anticipato, il 18 giugno ne abbiamo parlato in un evento con alcuni colleghi, caratterizzati da background ed esperienze diverse, con l’obiettivo di mettere insieme i nostri specifici punti di vista, dal normativo fino alle idee più innovative per ripensare le esperienze di lavoro.
Con Luca Furfaro, consulente del lavoro, autore del libro “Welfare aziendale“ e Contributor di Spremute Digitali (qui trovi la sua pagina autore), Luca Piras – CEO&Co-Founder di Well-FARE – e Francesco Pozzobon – Change Maker & Sales Manager di Digital Attitude e ospite della Video Spremuta di mercoledì 23 giugno, che trovi di seguito, – abbiamo cercato di dare risposte concrete per organizzare un rientro intelligente del personale in ufficio o in azienda e per creare dei flussi di lavoro nuovi ed efficaci di collaborazione intra ed extra aziendale, sfruttando l’esperienza dell’home working pandemico.
Abbiamo analizzato la vera natura dello Smart Working, qual è la sua reale utilità e qual è il modo migliore per introdurlo in azienda. Furfaro ha, inoltre, presentato i risultati della ricerca “Smart working e conciliazione tempi famiglia lavoro”.
Approfondisci l’argomento in Video Spremuta con Francesco Pozzobon, una chiacchierata tra Change Management, Smart Working, Collaborazione e transizione digitale.
I risultati del sondaggio sullo smart working
Il sondaggio condotto dallo Studio Furfaro, in collaborazione con Yoopies – piattaforma per le ricerca di personale domestico – ha interessato circa 3.500 lavoratori portando in evidenza un risultato connesso alla particolare modalità emergenziale.
Seppure i genitori abbiano affermato in larga maggioranza (67%) di avere, attraverso tale modalità, potuto dedicarsi agli impegni familiari, per il futuro richiedono un sistema che si basi sulla flessibilità (Smart working in alcune giornate 35% e flessibilità oraria 30%) ed anche su sistemi di aiuto attraverso il welfare aziendale.
Questo anche se il forzato home working ha portato il 63% degli intervistati a non richiedere prestazioni di lavoro domestico a soggetti esterni.
Tra gli altri spunti emersi nel Webinar:
- La visione di Smart working non come progetto, ma come viaggio;
- Il Mindset di ognuno da allenare costantemente alla nuove tecnologie, come alle più svariate abitudini da creare o rivedere e il necessario ripensamento di modalità formative più snelle e “spontanee” a base “nudging”;
- L’importanza, più che di parlare di ritorno in ufficio, di fermarsi per ascoltare le persone, chiedendo loro cosa sia meglio;
- La necessità di diffondere in modo concreto il diritto alla disconnessione e nuove regole per affrontare/evitare problemi di salute mentale e fisica;
- Gli aspetti negativi tra cui il lavoro da remoto come possibile fattore di perdita del senso della realtà aziendale e del senso di team;
- Il punto fondamentale da cui partire nei percorsi di trasformazione, ovvero, la comunicazione interna per informare, motivare e accompagnare le persone nel cambiamento (non c’è Change Management d’impatto senza la comunicazione vissuta come “Must” e non come “Nice to Have”);
- Alcuni modi innovativi per ripensare il lavoro, che permettono al contempo di valorizzare nuovi luoghi, mai pensati come posti dove lavorare, e così supportare una vera ripresa dell’economia. E in questo senso la proposta di Luca Piras – HQVILLAGE – è davvero interessante.
Come sintetizzato da Valerio Lalli – anche lui Contributor di Spremute Digitali (ecco qui la sua pagina autore) – un momento che ci ha visti tutti concordi nel sostenere che
“Il lavoro non è dove vai, ma è ciò che fai, a patto che ci siano dei confini…”
Altra riflessione su cui ci siamo trovati d’accordo, e che propongo come chiusura di questo articolo, è la ricerca di un equilibrio. Se è vero che è importante prendere una posizione, lo è anche considerare che stiamo vivendo una transizione, che ci sta traghettando verso una nuova era professionale.
Ci sono tanti “dipende” da affrontare prima di schierarsi: dipende dalla tipologia dell’azienda, dipende dalle modalità di svolgimento del lavoro da remoto, dipende dal livello di fiducia diffusa, dipende dalla seniority, dipende dal momento professionale in cui si trova ciascun lavoratore, dipende dal ruolo, dipende dall’attività, dipende dalla città, dipende dalla tecnologia a disposizione, dipende dalle normative che verranno fatte.
E, soprattutto, dipende dalle preferenze delle persone e dalla maturità organizzativa di cui è composta l’Azienda.
Ascolta l’audiospremuta con Luca Furfaro a tema welfare e smart working
Lo Smart Working è morto? Alla ricerca dell’equilibrio nella posizione