Perché l’ufficio è parte integrante dello smart working
Smart working e presenza in ufficio, possono andare d'accordo? Sì, e con una valenza diversa, nella logica del New Ways of Working.
Dall’avvento dell’emergenza pandemica, si è aperto un dibattito tra fazioni opposte: gli estremisti del remote working VS i fanatici dell’ufficio. Come se questi due approcci al lavoro dovessero per forza di cose essere antitetici, e, quasi scordandosi degli eventi che all’improvviso hanno eletto il remote working a strumento di contrasto della diffusione del Coronavirus per milioni di persone (otto solo in Italia), non una libera scelta.
Da allora, e tuttora, è una lotta all’ultimo slogan. Per qualche tempo ha avuto la meglio la proclamazione continua delle gioie e dei benefici del remote working. Le aziende, soprattutto le grandi multinazionali, hanno fatto a gara a lanciare progetti di lavoro da casa per 1 anno, per dieci anni (Facebook), addirittura per sempre (Twitter), professando la supremazia dell’organizzazione autonoma, che aumenta la produttività, e la poca utilità degli uffici. Per tutto il resto, c’è Zoom (e simili).
Questo atteggiamento ha contribuito alla creazione di un immaginario collettivo che associa, anzi identifica, lo smart working come remote working. Grande fraintendimento.
Poi è arrivata la Zoom fatigue, la mancanza di socialità, di spazi di lavoro adeguati, di concentrazione causa figli/mariti/mogli/animali tutti in pochi metri quadri; le giornate lavorative infinite e quel senso di vuoto, insoddisfazione, frustrazione che precludono, spesso, ad episodi di burn out. Complice anche il calo della curva dei contagi, appena è stato possibile numerose aziende hanno richiamato a lavorare le persone in ufficio, con buona pace di tutti i presunti propositi di cambiamenti organizzativi.
Ogni volta basta un grande nome a tuonare contro lo smart working (ad esempio, Amazon, o Goldman Sachs) e si apre il dibattito sulla mancanza di socialità e team building; i più attenti scomodano anche concetti quali creatività e innovazione, che, sembra, vengono a mancare lavorando da remoto (e non in smart working, ndr). E così, a ripetizione, negli ultimi 14 mesi.
Smart working e presenza in ufficio: è una questione di flessibilità nella scelta di spazi e orari di lavoro
In questo periodo mi sono trovata di frequente a commentare sulla mia pagina Instragram quanto questo dibattito fazioso servisse principalmente ai media per attirare più views. Ho cercato di sdoganare la maggior parte degli articoli con titoli “acchiappalike” in cui si associava la parola smart working ad un 100% remote working, elogiandolo o demonizzandolo a seconda dei casi. La verità è che tutto questo parlare di smart working ha portato anche a creare tanto “rumore” mediatico, riducendo spesso il tutto alla “sfida” casa/ufficio, invece di concentrarsi sull’essenza di un lavoro più agile, che, complice la pandemia, sta affrontando una forte accelerazione.
Si lavora meglio dall’ufficio o da casa?
Vediamo insieme perché questa dicotomia non sia necessaria. La definizione stessa di smart working parla di “flessibilità nella scelta di spazi e orari di lavoro”, portando implicitamente ad affermare che ci sia la possibilità di scegliere tra almeno due opzioni, l’ufficio e uno spazio “altro”.
Questo perché, sin dagli albori del lavoro agile, è stata riconosciuta l’importanza di un luogo fisico di incontro, elaborazione, scambio, socialità. Un luogo dove possa crearsi una cultura comune, dove le persone si sentano parte di una squadra e possano coltivare le cosiddette interazioni sociali spontanee, che spesso portano alla generazione di nuove idee; un luogo dove si abbia la possibilità di incontrarsi con colleghi, fornitori, clienti, per concludere affari, ma anche per curare le relazioni professionali in presenza. Un luogo, quindi, fondamentale per la buona riuscita di un business e la creazione di una identità aziendale.
Per tutti questi motivi, la progettazione dello smart working non può prescindere da una attenta revisione e innovazione degli spazi dell’ufficio. Si tratta infatti, assieme alla tecnologia e al “mindset” agile, di uno dei tre pilastri fondamentali per la realizzazione di un nuovo modo di lavorare.
E allora perché il dibattito si infiamma sulla dicotomia ufficio si/ufficio no?
Perché in effetti un grosso cambiamento c’è. Ma non riguarda lo spazio fisico. Quello che viene a mancare è l’associazione per cui se sei all’interno di quello spazio stai lavorando; altrimenti no.
Non si tratta di spazi, quanto piuttosto di cultura del lavoro, che nel corso degli anni si è forgiata con il concetto di presenza, legato a doppio filo alla concezione di gerarchia, fino ad arrivare alla nozione del potere nella sua essenza. Laddove non ci sia una cultura del lavoro adeguata, svuotare l’ufficio può portare con sé una diminuzione o mancanza del “purpose”, soprattutto nel management.
Per scardinare il dibattito alla radice, quindi, occorre investire ancora di più su un altro pilastro, la cultura del lavoro agile; introdurre/rafforzare concetti come obiettivo, fiducia, flessibilità, leadership, worklife balance, organizzazione orizzontale (in contrasto al vecchio modello piramidale) e dimostrare come tutto contribuisca a consolidare la forza di una organizzazione, incrementi i risultati operativi e di business, incidendo positivamente sulla qualità dell’organizzazione stessa e sulla vita personale di chi la abita, i dipendenti.
Come sono gli uffici smart?
Al di là dei dibattiti mediatici, i numeri dimostrano che sempre più aziende stiano investendo in una complessa revisione degli uffici, così da renderli in grado di soddisfare la crescente domanda di un modello di lavoro ibrido.
Secondo il rapporto “Q4 2020 Office Snapshot” di JLL, leader mondiale dei servizi immobiliari, anche in questo momento incerto il settore uffici si è dimostrato il più dinamico, con un volume di investimenti di circa 3,6 bilioni di euro. JLL sottolinea anche quale siano le tendenze a cui gli imprenditori guardano per soddisfare la domanda di qualità, tecnologia, sostenibilità e worklife balance, temi che mai come adesso sono diventati dirompenti nell’analisi di un investimento immobiliare.
I trend principali dell’ufficio ibrido e smart
Ecco alcune delle principali tendenze nella definizione degli uffici smart, frutto dello studio di molti progetti di smart working:
- Numero di postazioni limitato per incentivare l’alternanza ufficio/altro luogo;
- Prenotazione tramite sito intranet e/o app;
- Assenza di cartellino da timbrare, a favore di una fiducia reciproca sull’organizzazione e il rispetto di un orario di lavoro flessibile;
- Numero limitato di uffici chiusi, anche tra il management, per favorire un rapporto di condivisione e fiducia;
- Molteplici e diversificati spazi di lavoro che permettano la collaborazione, la connessione fisica e digitale tra persone. Da salette per incontri “one to one” a “creative room” dotate di sofisticata tecnologia dove fare brainstorming e poter avere tutto il lavoro tracciato;
- Tecnologia che, in qualunque spazio, riesca a collegare coloro che stanno lavorando da remoto, favorendo l’inclusione, e allo stesso tempo permetta la dematerializzazione di alcuni strumenti (come il telefono ad esempio), per facilitare la possibilità di lavorare in ogni luogo, sia all’interno dell’ufficio che da remoto;
- Alternanza di spazi formali e informali, come ad esempio sale relax stile Silicon Valley alle palestre o stanze della lettura;
- Assenza o quasi di archivi fisici, a favore della digitalizzazione su cloud.
Si tratta quindi di interventi che aggiungono valore agli spazi aziendali e incoraggiano la presenza dei dipendenti, ma cambiandone in profondità la motivazione, in linea con la trasformazione radicale del lavoro che è alla base del concetto di smart working.
Perché l’ufficio è parte integrante dello smart working