Daily Orange Squeeze Episodio 29 – Olivetti
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Ciao e bentornato su Spremute Digitali!
Dimmi la verità, sei abbastanza grande per avere in cantina una macchina da scrivere Olivetti? Non ti giudico, lo giuro. Ti ricordi di quando l’azienda era considerata una tecnologia insostituibile?
Non so se lo sai ma al tempo Olivetti era considerata una avanguardia tecnologica mondiale.
Adriano Olivetti, figlio del fondatore dell’omonima azienda, nata ad Ivrea nel 1908 con un capitale di 350 mila lire e poco più di venti operai, racconta con una esigua sequenza di parole il suo concetto di avanguardia: “Ecco, se mi posso permettere, spesso il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande”.
La grandezza di Olivetti, nei primi anni del Novecento, fu anticipare drasticamente (e di quasi cinquant’anni) i modelli del capitalismo etico (o apparentemente etico) attuale, perpetrati da tutte le companies dedite al design del trust. Al di la di qualsiasi spunto a livello tecnico, la migliore delle qualità di Adriano fu quella di avere la fulgida splendente intuizione, incredibile oserei dire, intuizione che le aziende non devono solo guadagnare, anzi non è neanche la loro mission più importante; lo erano per lui le positively disturbing ideas, i valori immateriali che irrompevano nella vita di tutti i giorni della collettività; in poche parole lo era il processo dialettico che trasformava l’utopia in realtà, ossia in termini moderni cultura e innovazione.
L’azienda per decenni è stata l’esempio più meraviglioso di come l’engagement di ogni dipendente, per quanto piccolo fosse, all’ideale del progetto potesse rendere cento volte quello di un lavoratore disinteressato. Inoltre, Adriano fu il primo a comprendere come la responsabilità sociale dell’impresa fosse un valore inestimabile. Valorizzare i dipendenti, creare orari di lavoro sani e permettere sviluppi creativi, oltre che pagare salari alti, sono stati i grandi capisaldi per raggiungere un coinvolgimento endemico.
Dopo la sua morte nonostante questo, il lento declino fu inesorabile. Progressivamente venne denaturata l’idea del suo fondatore, fino a cadere nella trappola della poca lungimiranza degli investitori italiani e del mancato adattamento ai mercati. Dell’azienda nei suoi tempi d’oro sono rimaste solo le logiche di mercato, in sostanza per salvarsi ha perso la sua mission aziendale e con essa la sua carica innovativa. Un’anti-startup potremmo dire, da gamechanger a gamechanged.
Se ti interessa saperne di più c’è un lungo articolo di approfondimento nella sezione Read.
A presto.