New Ways of Working

Giorni lavorativi da 5 ore. Abbiamo sbagliato tutto fino a oggi

Mirco Calvano Pubblicato: 19 Luglio 2021

Giorni lavorativi da 5 ore

Man mano che i concetti di Modern Workplace e New Ways of Working diventano predominanti, ci accorgiamo che, in realtà, sembrano soluzioni piuttosto ovvie.

Nelle ultime settimane, ad esempio, è salito alla cronaca il caso dell’Islanda dove i sindacati hanno ottenuto una riduzione delle ore lavorative, ma senza intaccare la retribuzione. Un sogno, diranno i più, e invece è proprio così.

Ovviamente questo “gesto rivoluzionario” non è stato un qualcosa di avventato o di improvvisato; il tutto deriva da uno studio che ha dimostrato come giorni lavorativi da 5 ore mantengano inalterata la produttività dei lavoratori. Ed è così che, prove alla mano, i sindacati islandesi sono riusciti a far diminuire all’86% dei lavoratori, le ore sul proprio contratto, con lo stesso stipendio.

Il dibattito sul come e sul perché è iniziato nel 2014 quando dalle statistiche è emerso che gli islandesi, mediamente, lavoravano più di qualsiasi altra popolazione dell’Europa del Nord. La media era di circa 36,9 ore a settimana.

A fronte di questo comparando i dati con quelli dei paesi vicini, è diventato opinione comune il fatto che si dovessero ridurre le ore di lavoro; questo perché l’Islanda è una delle nazioni più ricche al mondo, ma tra quelle con meno tempo a disposizione per poter “godere di questa ricchezza”.

Insomma, in Islanda l’equilibrio tra vita privata e lavoro era prepotentemente orientato verso quest’ultimo. Chiaramente lavorare tanto non vuol dire essere più produttivi, anzi. Questo perché,secondo gli esperti del settore una volta superate le 50 ore a settimana la produttività cade a picco, e ovviamente non ci sono benefici tangibili da questo overwork.

Perché accade questo? Semplicemente perché i lavoratori felici sono quelli più produttivi. Ovviamente lavorare troppo non rende felice nessuno, e quindi ecco che le persone diventano meno produttive. Ovviamente a questo vanno aggiunti anche tante altre situazioni collaterali come, ovviamente, la stanchezza mentale e fisica, il non avere tempo per se stessi e per i propri affetti e via dicendo.

Lavorare 5 ore al giorno: e se fino a oggi avessimo sbagliato tutto?

Prima di arrivare al “miracolo islandese” c’è stato ovviamente bisogno di un test per verificare se quanto teorizzato fosse valido. Per 5 anni circa 2500 lavoratori hanno visto il loro orario di lavoro passare da 40 a 35 o 36 ore a settimana, lasciando intatto il proprio stipendio.

Quando nel 2020 gli esperti sono andati a “sintetizzare” questi anni di prove sul campo è apparso che non solo la produttività non era minimamente calata, ma anzi, in certi casi era addirittura aumentata.

Ovviamente per arrivare ai giorni lavorativi da 5 ore sono stati necessari dei cambiamenti tipo radicali. Fare riunioni più brevi; eliminare o ripensare i lavori ridondanti, magari automatizzandoli; scegliere comunicazioni più efficienti; ottimizzare i turni di lavoro; e questi sono solo alcuni degli esempi possibili.

Inizialmente non sarà stato facile, ma alla fine il risultato è quello che abbiamo sotto i nostri occhi: meno ore di lavoro, stesso stipendio, produttività inalterata se non aumentata.

Ora, in estrema sintesi, sembra proprio che in questo non ci sia nulla di sbagliato; tanto è vero che la domanda posta all’inizio è “e se fino a oggi avessimo sbagliato tutto?”.

Giorni lavorativi da 5 ore: in Italia sarebbe possibile?

Chiaramente non possiamo fare un discorso comune per tutti i paesi del mondo poiché ci sono tante dinamiche economiche e sociali che entrano in gioco, e non sono degli assoluti. 

Anzitutto il problema principale è che l’Islanda ha una popolazione di circa 366 mila abitanti. Praticamente niente in confronto ai nostri 60 milioni e via dicendo. Ovviamente conta anche il tipo di economia, l’età della popolazione e via dicendo. Non si può non tenere in considerazione il debito pubblico, il PIL e tutti questi fattori economici che influenzerebbero non poco un cambiamento nel mondo del lavoro di tale portata.

Comunque in un eventuale percorso di riduzione delle ore di lavoro bisognerebbe tenere presenti alcuni fattori predominanti:

Per quanto riguarda il nostro paese, già partendo da questi tre punti troviamo subito le difficoltà più evidenti.

Investire sulle nuove tecnologie, un passo importante che a fronte della ripartenza post Covid potrebbe diventare una realtà. Il problema è la forza lavoro che solo nell’ultimo anno ha capito il vero valore della digitalizzazione e solamente perché messa alle strette da una pandemia. 

Gli sgravi fiscali sono, ovviamente, materia del Governo; ma in un paese dove l’evasione fiscale è ancora altissima, difficilmente ci potranno essere benefici in tal senso. E tutto questo senza parlare dei contratti di lavoro fantascientifici che ancora sono la norma in Italia.

Formazione e specializzazione forse potrebbero essere l’idea più tangibile; ma con i nostri giovani che fuggono all’estero per colpa della mancanza di lavoro, praticamente il nostro paese finisce per formare le persone che diventeranno produttive per le altre nazioni.

Ora, questa potrà sembrare una versione estremamente pessimistica delle cose, ma il paese reale purtroppo è ancora questo; diminuire le ore di lavoro comporterebbe mille e mille sotterfugi per cercare di guadagnare a spese dei lavoratori.

Meno procrastinazione, più produttività

Comunque, volendo parlare per un momento in maniera irrealistica, ammettiamo che i tre punti di cui sopra vengano adottati anche in Italia. 

A questo punto la palla passerebbe a imprenditori e aziende che dovrebbero riadattare i propri sistemi produttivi in questo senso. 

La parola d’ordine è “produttività”: snellire i processi, favorire l’automazione, comunicare in maniera efficace e mirata. Insomma prendere tutto ciò che è successo in questi ultimi mesi di emergenza sanitaria, amplificarlo al massimo e farlo diventare la normalità.

Il New Normal che tutti decantano, dovrebbe diventare realmente una cosa di tutti i giorni e quindi servirebbero competenze, conoscenza, impegno. Poi ovviamente ci dovrebbe essere un riassetto generale: lavoro ibrido, smart working, processi automatizzati.

Insomma tutti quelli che sono i canoni del Lavoro 4.0 dovrebbero diventare di uso comune per aumentare la produttività e, finalmente, poter lavorare tutti di meno.

Purtroppo la situazione italiana la conosciamo tutti. Se il Covid è stato un ottimo acceleratore digitale, la mentalità delle persone è ancora ben lontana dall’essere cambiata. È più che altro una questione culturale che deve essere compresa in maniera generale da tutti, cosa che qui da noi per il momento manca. 

Giorni lavorativi da 5 ore: la strategia vincente

Tralasciando il modello Islanda, abbiamo visto che la riduzione dell’orario di lavoro potrebbe non essere la strategia universalmente vincente. Ci sono però dei suggerimenti degli esperti che vale la pena tenere a mente, anche per un futuro cambio di rotta.