New Ways of Working

Smart Working ed emergenza sanitaria, come si traccia la rotta per il futuro?

Mirco Calvano Pubblicato: 25 Novembre 2021

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Smart Working ed emergenza sanitaria: una risposta efficiente a una criticità inaspettata è stata in grado di trasformare completamente i paradigmi produttivi. Il futuro del lavoro riparte da qui.

il futuro del lavoro riparte dai nuovi paradigmi
Il futuro del lavoro riparte dai nuovi paradigmi.

Se l’emergenza sanitaria ci ha insegnato qualcosa, è che le aziende e i lavoratori possono affrontare cambiamenti repentini, qualora venisse loro richiesto.

Cosa vuol dire questo? Semplicemente, che nessuno avrebbe mai potuto prevedere che nel giro di poche settimane la nostra vita (lavorativa e non) sarebbe stata stravolta a tal punto da richiedere uno sforzo collettivo senza precedenti, “solo” per poter continuare a svolgere tutte quelle mansioni che davamo per scontato.

Nel futuro post-Covid saranno circa 4 milioni e mezzo i lavoratori che sceglieranno nuovi modelli di lavoro ibridi, scanditi cioè da una parte in presenza e una parte da remoto. Numeri impressionanti che evidenziano una crescita di oltre 7 volte rispetto al 2019, ad esempio, quanto erano solo 570mila unità. [Fonte: Osservatorio Smart Working 2021]

L’esperienza della pandemia ha messo in moto un processo di cambiamento straordinario che, seppur nell’aria già da diverso tempo, non ha mai attecchito completamente nella mente dei lavoratori italiani prima di questo momento. Eppure grazie a una criticità inaspettata abbiamo assistito a una rapidissima evoluzione dei modelli produttivi che, forse, sarebbe stata impossibile, altrimenti.

I nuovi lavoratori hanno, quindi, potuto toccare con mano i vantaggi di queste nuove dinamiche rendendole inarrestabili e, anzi, sempre più radicate nella cultura collettiva.

Marzo 2020, l’inizio della rivoluzione

Poche settimane dopo l’inizio di uno degli eventi più sconvolgenti ed inaspettati della storia contemporanea in Italia c’erano circa 6 milioni e mezzo di persone in Smart Working, distribuite tra Pubblica Amministrazione, PMI e grandi aziende. Quando appena sei mesi dopo, c’è stata una maggiore cognizione di causa e una maggiore conoscenza del nemico che tutti stavamo affrontando, il numero di smart worker si è ridotto, superando di poco le 4 milioni di unità.

Statistiche a parte, ciò che conta realmente è che in questi due anni un lavoratore su tre ha dichiarato un miglioramento netto nelle sue condizioni di lavoro; con un buon 39% che ha affermato di essere riuscito a conciliare meglio le dinamiche vita-lavoro.

Solo il 22% ha parlato, invece, di un peggioramento confermando, quindi, che preferirebbe tornare ai vecchi paradigmi occupazionali.

Nonostante questo, è innegabile che l’Italia e il mondo intero stiano vivendo una rivoluzione senza precedenti che sta portando gradualmente all’obsolescenza dei vecchi modelli produttivi

A prescindere da tutto, alla fine dell’emergenza, con buona possibilità, si assisterà a ulteriori cambiamenti nelle modalità organizzative delle imprese; questo non potrà che essere un bene per le persone le quali riusciranno ad “armonizzare” ulteriormente la vita professionale e quella privata. 

In questo periodo, però, a cambiare non sono stati solo i lavoratori. Le trasformazioni hanno riguardato tutto il sistema che ha avuto bisogno di un ripensamento (quasi) totale.

Come cambiano gli spazi di lavoro?

smart working ed emergenza sanitaria: come cambiano gli spazi di lavoro?
Come cambiano gli spazi di lavoro?

In prospettiva di un lavoro sempre più smart, non si possono non tenere in considerazione spazi sempre più personalizzati e adatti ad accogliere le varie esigenze.

In questi mesi il termine “Modern Workplace” è sempre più centrale nelle vite dei lavoratori, diventando uno degli obiettivi fondamentali di questo New Normal.

Cosa vuol dire questo?

Vuol dire che è ormai indispensabile costruire un posto di lavoro che sia in grado di rispondere in maniera efficiente alle nuove esigenze e che permetta connessioni sempre più resistenti, anche a migliaia di chilometri di distanza.

Diventa importante, quindi, acquisire anzitutto le tecnologie che consentano comunicazione, collaborazione e organizzazione in maniera mirata e performante; occorre ripensare i legami su scala globale, “espandendo il concetto di ufficio” e portandolo ad avvicinare persone e cose nonostante lo spazio fisico.

Occorre, poi, ripensare il concetto stesso di spazio, che è diventato rapidamente virtuale, ma mantenendo vive e vitali le connessioni e lo scambio di idee, conoscenze e materiali tra le persone.

Modern Workplace, come cambia l’ufficio del futuro?

L’ufficio è stato fisicamente smontato e dislocato in ogni dove. I tavoli da cucina sono diventate le nuove scrivanie, le sale da pranzo le nuove stanze per le riunioni; giardini e terrazzi, uffici di nuovissima generazione dove lavorare e vivere svincolati dalle canoniche quattro pareti sempre più soffocanti e sempre più strette.

La staticità ha lasciato il posto alla mobilità, con persone che si spostano sempre più spesso, continuando a garantire il regolare workflow come se fossero mentalmente all’interno dell’azienda, ma fisicamente altrove.

Chiaramente, a questo ha fatto seguito un notevole sviluppo tecnologico che ha fornito ai lavoratori strumenti potenti e affidabili. Pensiamo alle suite di produttività che includono al loro interno tutto ciò che può essere utile per lavorare da remoto e condividere rapidamente i materiali con il proprio team di lavoro. Agli strumenti di comunicazione come i vari software per le riunioni virtuali e quelli per la messaggistica istantanea. Al cloud che trasforma il vecchio archivio cartaceo in uno digitale, sempre aggiornato e raggiungibile in ogni momento.

Oppure pensiamo ai nuovi dispositivi tecnologici sempre più portatili e sempre più potenti.

Insomma, lo Smart Working e la pandemia per ragioni diverse hanno demolito il vecchio concetto di “spazio fisico”; ma è grazie alla tecnologia che tutto questo è stato possibile. Ed è sempre grazie a questa che possiamo continuare a svolgere il nostro lavoro stando “comodamente” seduti sul divano di casa, senza che la produttività ne risenta.

Oltretutto, ambiente e viabilità urbana ringraziano, dato che a fronte di un minor numero di spostamenti verso il posto di lavoro, sono stati evidenti livelli di inquinamento più bassi e una percentuale molto minore di ingorghi stradali e mezzi pubblici sovraffollati.

Sistemi produttivi, la tecnologia che cambia la vita

Immaginiamo se la pandemia fosse arrivata 15 o 20 anni fa. Sarebbe stato un disastro. 

Oggi, anche se con qualche eccezione, il mondo è per buona parte connesso, sempre.

In un numero sempre maggiore di città sono presenti connessioni a internet ad altissima velocità; quasi tutti hanno almeno uno smartphone o un computer; buona parte della popolazione è in grado di utilizzare tali tecnologie. Insomma, possiamo dire senza troppi giri di parole di vivere in un’epoca molto digitale che può contare su connessioni affidabili e una buona disponibilità di tecnologia.

Durante i primi mesi di lockdown i siti di streaming e gli e-commerce hanno visto una crescita vertiginosa, così come le piattaforme di messaggistica e quelle per videochiamate e affini. Abbiamo dovuto riprogrammare la nostra vita in funzione di uno schermo; non è stata una soluzione “piacevole” eppure ci siamo adattati e alla fine ce l’abbiamo fatta. Sia lo svago che il lavoro sono andati avanti in maniera più o meno regolare.

tecnologia e smart working
Oggi possiamo contare su connessioni affidabili e una buona disponibilità di tecnologia che ci permette di lavorare ovunque.

Ma cosa sarebbe successo se, ad esempio, l’emergenza sanitaria fosse arrivata nel 1999? 

Sicuramente ci sarebbe stato un aumento vertiginoso delle bollette telefoniche. Internet sarebbe stato preso di mira, certo, ma cosa avremmo mai potuto fare con le vecchie connessioni a 56k? Forse qualche “eletto” avrebbe già potuto usufruire di qualche connessione più veloce, ma per buona parte della popolazione l’accesso alla rete sarebbe stato precluso

Stesso discorso per le tecnologie per comunicare e per l’intrattenimento; probabilmente ci sarebbe stato un incremento della Pay Per View, certo, ma oltre questo non ci sarebbe stato molto altro. Ovviamente la questione lavoro sarebbe stata più complicata e avremmo dovuto dire addio alle e-mail, alle video-riunioni, insomma, avremmo dovuto dire addio allo Smart Working.

Cosa voglio dire con questo? Che l’emergenza sanitaria è arrivata in uno dei momenti di maggiore sviluppo della tecnologia e della connettività le quali non sono state sovrastate dal virus, ma, anzi, hanno retto il colpo alla perfezione, consentendoci di vivere questo disagio in maniera più o meno dignitosa

Certamente ci sono stati casi limite con abitazioni sovraffollate, connessioni e dispositivi “spremuti” per ore e ore; ma indubbiamente la tecnologia è stata in grado di essere una forma di sostegno virtuoso per le persone come forse mai prima d’ora.

Quindi se l’evoluzione dello Smart Working è stata così “prepotente” e capillare, il merito è anche del periodo storico propizio a fornire un certo tipo di tecnologia di larghissimo consumo.

Smart Working, i lavoratori al centro

smart working e futuro del lavoro, i lavoratori al centro
Smart working e futuro del lavoro: i lavoratori al centro.

Un’altra delle tendenze a cui abbiamo assistito in questi circa due anni di pandemia è stata quella che ha riguardato l’idea di mettere al centro della produttività i bisogni dei lavoratori. Smart Working è sinonimo di flessibilità e questa non può che andare di pari passo con una sempre maggiore attenzione al work-life balance. Stiamo parlando dell’equilibrio tra vita privata e lavoro, diventato uno dei fattori più ricercati in assoluto dai lavoratori italiani.

Secondo diversi studi sembra che una delle paure più grandi delle persone sia il sovraccarico da lavoro e tutto ciò che ne deriva, come problemi di salute e di stress. Il non riuscire a gestire il carico di lavoro è una delle maggiori preoccupazioni del nostro tempo e, chiaramente, una delle maggiori incognite del “non andare più in ufficio”.

Prima della pandemia la vita lavorativa delle persone poteva essere scandita secondo ritmi ben precisi: spostamenti per arrivare in ufficio, le canoniche otto ore di lavoro e mobilità per tornare a casa. Nei casi più fortunati, si poteva parlare di circa 10 ore dedicate alle attività produttive con il resto della giornata libera per altre cose. 

Con lo Smart Working sono venuti meno sì gli spostamenti, ma con l’obbligo di restare chiusi in casa durante il primo lockdown, le ore di lavoro delle persone sono aumentate a dismisura. Questo è uno dei punti a sfavore del New Ways of Working: il burnout, il non saper gestire le ore di lavoro in maniera equa, portano a tutta una serie di problemi di salute che a lungo andare possono diventare anche di grave entità.

Proprio per questo il work-life balance è un’esperienza che sta diventando sempre più radicata nelle persone, per cercare appunto di calibrare al meglio le abitudini quotidiane, separando lavoro e vita privata in maniera netta. Chiaramente è più facile a dirsi che a farsi, ma riuscire a scandire al meglio il proprio tempo porterà tutta una serie di benefici sia in termini di salute sia di produttività che potrebbero cambiare radicalmente la vita delle persone.

Ovviamente si ridurrebbe di molto lo stress, si avrebbe più tempo per gli affetti e la famiglia, più tempo per se stessi e i propri interessi; durante le ore di lavoro si riuscirebbe ad essere più produttivi e più presenti mentalmente. Insomma, curare al meglio questo prezioso equilibrio è un modo per vivere in armonia sia gli impegni lavorativi che la vita di tutti i giorni.

Qui, chiaramente, entrano in gioco tante dinamiche che riguardano anche il diritto alla disconnessione e l’abbandono dell’idea di dover essere reperibili 24 ore al giorno. Ma stiamo parlando, comunque, di situazioni che a prescindere dalla pandemia e da tutto il resto dovrebbero comunque essere considerate fondamentali

La netta separazione tra vita e lavoro è un tema che non può essere trascurato. Non dimentichiamo, infatti, che esistono norme e contratti che regolano le prestazioni lavorative. Forse è il momento che vengano applicate anche allo Smart Working.

Non è più il momento di considerare gli smart worker come dipendenti di Serie B; è il momento di chiedere leggi e norme ad hoc, in modo che non ci siano più differenze tra i lavoratori “regolari” e quelli “digitali”. Questo dovrebbe essere il primo passo per un futuro realmente smart che riesca a svincolarsi dalla “giustificazione pandemica” e dia il giusto riconoscimento a chi sceglie queste modalità di lavoro perché più in linea con i suoi bisogni.

Smart Working, le incognite sul futuro

Quello che il nostro paese ha vissuto e sta vivendo ancora è, forse, una prima grande prova di forza per abbandonare i vecchi modelli produttivi e abbracciare il futuro.

E se già da adesso molte aziende hanno deciso che continueranno ad adottare il lavoro ibrido anche a fine pandemia, vuol dire che queste trasformazioni sono sintomo di un qualcosa di più grande, destinato a radicarsi nelle persone a livello, anzitutto, sociale e culturale.

Avendo provato sulla propria pelle i benefici di un’organizzazione più strutturata e la semplificazione di molte attività grazie alla tecnologia, difficilmente si tornerà indietro; ad esclusione di quel 22% di cui sopra che (ancora) non è riuscito a gestire il nuovo workflow, in modo che diventi la normalità e non una pesante incombenza dettata dalla pandemia.

Quali saranno le sfide del futuro?

Insomma, la strada da fare è ancora tanta, soprattutto per far comprendere al mondo che gli smart worker non sono lavoratori di Serie B, ma che hanno gli stessi diritti e doveri di quelli considerati “regolari”. Poi tutti i problemi di natura tecnica di cui sopra che dovranno cercare di orientare sempre di più persone e aziende verso questi cambiamenti; senza convertire nessuno, ovviamente, ma mostrando loro i reali benefici che ne derivano.

Conclusione: Smart Working ed emergenza sanitaria, quale futuro?

La strada per il New Normal è ormai stata indicata e i nuovi modelli organizzativi fungeranno, a questo punto, come una bussola per indicare la retta via verso il futuro delle imprese; la speranza per tutti è che questo domani sia, anzitutto, più equo e più sostenibile, ma che sappia anche avere un impatto positivo sulle persone e sulle imprese stesse.

Siamo arrivati fino a questo punto grazie a una criticità inaspettata; possiamo dedurre che non c’è cambiamento senza crisi? Possiamo dedurre che l’uomo ha bisogno sempre di un evento estremo per cambiare in meglio?

Questo non lo sappiamo, l’unica certezza è che ogni crisi può rappresentare l’opportunità di rivedere modelli e abitudini ed, eventualmente, favorire l’adattamento, non solo dei “più forti”, dovrà essere un cambiamento positivo che abbia alla base sia le innovazioni, sia le persone e il loro benessere.

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