New Ways of Working

Modello Workation: il lavoro può veramente essere una vacanza?

Elisabetta Badolisani Pubblicato: 10 Gennaio 2022

workation

Digitale, remoto, flessibile, ma anche rarefatto, solitario e stressante: così abbiamo imparato a conoscere il lavoro durante la pandemia. Il paradosso è ben evidente nel modello di workation, letteralmente “lavoro-vacanza”. Ma una fusione completa tra vita privata e lavoro non è possibile, né desiderabile.

workation modello lavorativo
Il workation è un modello lavorativo che può funzionare, sia per la produttività, sia per la salute mentale?

Il Workation è davvero possibile? Alcuni dati per comprendere meglio il fenomeno

In questi ultimi due anni si è sentito parlare spesso di workation, concetto che porta il Work Everywhere ai suoi livelli più estremi. Perché lavorare da casa quando puoi farlo in un fantastico luogo di villeggiatura? 

Sguazzare nella piscina vista mare tra una call e l’altra, fare trekking una volta chiuso il computer, prepararsi un caffé osservando lo skyline di una città sconosciuta. Godersi una vacanza mentre si lavora, per l’appunto.

Tutto grazie alla digitalizzazione, che ci ha permesso di continuare a lavorare e di restare connessi col mondo, anche quando non si poteva uscire di casa. 

Anzi, l’esplosione del fenomeno del workation è avvenuta proprio nei mesi più duri della pandemia da Covid-19. È l’effetto della YOLO (you-only-live-once) economy: vietato rinunciare. 

E allora, essendo difficile viaggiare, meglio privilegiare i lunghi pernottamenti. Le catene degli hotel hanno fatto a gara per metter su offerte vantaggiose, postazioni di lavoro comode e lussuose, servizi utili come il baby sitting. Sono stati elaborati in velocità degli indici per aiutarci a scegliere la città perfetta per fare Smart Working, sulla base di temperatura, lingua, sistema sanitario, costo della vita. Alcuni paesi, tra cui Spagna e Portogallo, hanno annunciato sgravi fiscali per i telelavoratori stranieri installatisi sul territorio.

Il modello ibrido di lavoro e vacanza era pronto sulla rampa di lancio per il decollo definitivo. Eppure, secondo una recente indagine di Booking.com, nel 2022 i lavoratori opteranno per vacanze anche brevi, purché completamente disconnesse.

La fusione è dunque fallita?

Lo Smart Working ha salvato le nostre economie (familiari e nazionali) dalla pandemia. Ma contemporaneamente ha anche fatto emergere tutte le contraddizioni del Post-Fordismo. In un certo senso, si tratta di un’altra delle sue esternalità positive.

Abbiamo scoperto che è molto stancante passare le ore davanti al computer, a casa propria come a Bali. Che essere sempre reperibili è un supplizio. Che il work-life balance è un obiettivo essenziale per il benessere psicofisico

Il workation non ci ha salvati. La rappresentazione più chiara del suo fallimento l’ha data probabilmente l’artista brasiliana Sofia Caesar, con l’installazione Workation: una persona seduta in spiaggia a lavorare sviene, trascinando inesorabilmente con sé il computer nella sabbia.

Le persone hanno scoperto che lavorare “in vacanza” è più stressante che lavorare da casa. 

Innanzitutto, staccare si è rivelato particolarmente difficile: perché chiedere le ferie se si è già in vacanza? La libertà può rivelarsi solo apparente o di breve durata, se si perde la distinzione netta con la vita privata.

Inoltre, questi nomadi digitali hanno dovuto affrontare inaspettati problemi logistici e burocratici legati alla pandemia, alle tasse, ai visti. 

I luoghi di villeggiatura si sono rivelati costosi o poco adatti per lavorare in Smart Working. Pensiamo al problema della fibra veloce nel Sud Italia. La scarsa diffusione della connettività di alto livello dovrebbe essere superata con il piano di intervento pubblico nazionale Italia 5G. Dando nuovo respiro alle esperienze di south working già avviate.

Molti problemi sono però legati alla natura stessa dello Smart Working

I costi, per esempio: nel 2020 quasi un italiano su quattro non disponeva di adeguate attrezzature per connettersi a Internet e lavorare in modalità smart (Tripi, Mattei, 2020). In Portogallo le imprese sono state obbligate a partecipare alle spese per l’energia e i dispositivi necessari. 

Ma non solo. Secondo Eurofund, più del 30% delle persone in Smart Working lavora nel proprio tempo libero più volte alla settimana, se non tutti i giorni. Il 5%, invece, tra coloro che lavorano in ufficio. Lavorare da remoto tende cioè ad aumentare la “con-fusione” tra vita privata e vita lavorativa, a causa della iper connessione (Tripi e Mattei, 2020).

Per questo motivo la legge 61/2021 ha riconosciuto ai lavoratori italiani il cosiddetto “diritto alla disconnessione”. A dicembre il ministro Brunetta ha diramato delle linee guida per lo Smart Working nel pubblico impiego, che vorrebbe introdurre per gli statali diverse novità, tra cui appunto la disconnessione.

Sembra paradossale, ma è dovuto intervenire il legislatore per garantire alle persone la possibilità di non essere reperibile al di fuori dell’orario lavorativo. Senza conseguenze sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi. 

workation e diritto alla disconnessione
La disconnessione è un diritto. Senza avere alcuna ripercussione sul lavoro. Il workation lo permette?

È importante preservare momenti di assoluto relax. Per questo il modello del workation è in difficoltà.

Le implicazioni di workation e smart working nella salute mentale dei lavoratori

Secondo Stefano Tripi e Giorgio Mattei, alcuni aspetti della gestione delle risorse umane “a distanza” possono avere conseguenze negative sulla salute mentale dei lavoratori. Per esempio, l’essere potenzialmente sempre reperibili. L’assenza di collaborazione e supervisione diretta, o di modalità di accesso “informali” alle informazioni. Ma anche l’isolamento relazionale e l’aumento delle distrazioni. 

È la conclusione a cui i due ricercatori sono giunti con il Working PaperCOVID-19 e Pubblica Amministrazione: implicazioni dello smart working per il management e per la salute mentale dei lavoratori”. Ma non si tratta di un problema limitato alla PA

Nella forza lavoro mondiale, pubblica e privata, sono emersi diversi disagi psicofisici legati allo Smart working. Calo dell’engagement, depressione, diverse forme di esaurimento, dal burnout al workaholism. Secondo il rapporto “Inside Employees’ Minds 2021 study findings” (Mercerd 2021), un lavoratore su quattro soffre di forte stress. 

dati sulla salute mentale lavoratori
Dati sulla salute mentale dei lavoratori.

In cima alla lista delle preoccupazioni personali dei lavoratori c’è la salute mentale.

Il risultato? Una marea di dimissioni volontarie

Secondo il Bureau of Labour Statistic degli USA, solo in agosto hanno lasciato il proprio lavoro 5 milioni di persone. In Italia, nel 2021, stando ai dati delle comunicazioni obbligatorie, mezzo milione di dipendenti hanno deciso di licenziarsi. La tendenza però, secondo la sociologa Francesca Coin, era in atto già dal 2016. E va letta come un vero e proprio il “rifiuto del lavoro”. 

Come fa notare Coin nell’intervista a Radio Blackout, “c’è una cosa che impedisce la nostra libertà: il lavoro”. La scala valoriale dominante nella società prevede che l’identità individuale combaci con la professione lavorativa. Ma sempre di più le nuove generazioni rifiutano questo concetto.

Siamo forse di fronte agli albori di una rivoluzione ideologica? O sono solo gli effetti della cultura YOLO? 

Lo Smart Working stesso si presenta come un Giano Bifronte. 

Da una parte, è un’opportunità per la persona: un modo differente di lavorare che viene incontro alle esigenze personali. Timbrare il cartellino, addio. Autodeterminazione, benvenuta.

D’altra, è un’occasione per l’azienda di raggiungere più remunerativi obiettivi di business. Risparmio sugli affitti, certamente, ma anche guadagni in efficienza. I dati Istat mostrano infatti che è proprio nei settori che più hanno adottato lo Smart Working che è particolarmente cresciuta la produttività.

Le persone, proprio grazie allo Smart Working, hanno compreso il valore dei “riti” della vita lavorativa: stare in ufficio con i colleghi, rapportarsi con i cittadini e, perché no, anche timbrare il cartellino (Tripi e Mattei, 2020). L’obiettivo del futuro sarà senz’altro preservare i vantaggi della flessibilità del lavoro da remoto. Ma senza trascurare quelli della socialità e del senso di appartenenza.

È probabile quindi che il workation ceda il passo ad altri modelli. La formula blended work per esempio, che prevede l’alternanza tra lo Smart Working e la presenza.

Perché in fondo, quello che tutti desideriamo non è lavorare meno, ma solo lavorare meglio.