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NFT e Blockchain, sarà davvero questo il futuro della musica?

Mirco Calvano Pubblicato: 14 Luglio 2021

nft musica

Il settore della musica, come quello dell’arte in generale, negli ultimi anni è stato svilito e denigrato da tutta una serie di fattori che hanno portato a una crisi senza precedenti. Dopo gli “anni bui” della pirateria, dove gli artisti si sono trovati a competere con nemici come Napster, E-mule e via dicendo, oggi il vero nemico è praticamente dentro casa e per di più agisce per vie legali. Stiamo ovviamente parlando dei portali digitali e delle piattaforme di streaming che offrono una marea di musica in maniera (quasi) completamente gratuita.

Certo, meglio lo streaming che la pirateria; almeno con piattaforme del genere gli artisti riescono a guadagnare qualcosa e in più gli ascolti contribuiscono all’assegnazione dei vari premi. Però è innegabile che il settore musicale stia vivendo una svalutazione non indifferente; questa cosa potrebbe portare in tempi brevi alla fine dell’industria musica come la conosciamo.

Eppure la soluzione per “risanare” il settore potrebbe essere a portata di mano e dare una scossa a produttori e consumatori. Stiamo parlando degli NFT, non-fungible token, un particolare “gettone” che con un codice al suo interno rappresenta qualcosa di unico. In pratica si tratta di una sorta di certificato che dimostra la proprietà intellettuale.

Già conosciamo l’effetto degli NFT sull’arte in generale; pensiamo a tutte le opere vendute a prezzi esorbitanti che rappresentano dei pezzi unici che fanno gola a collezionisti e appassionati. Immaginiamo l’effetto che potrebbe avere sulla musica e ragioniamo sul fatto che potrebbe realmente salvare il settore.

Musica e NFT: l’esempio dei Kings of Leon

Negli ultimi anni la musica ha subito forti perdite: i dischi non si vendono più e idem per il merchandise. Non si ragiona più per album, ma per singoli da lanciare al momento giusto nell’estremo tentativo di accumulare ascolti e condivisioni. Quasi nessuno, almeno in Italia, spende una parola per gli artisti e per la situazione che hanno vissuto negli ultimi 15 mesi, e tutto questo mentre le piattaforme di streaming ogni giorno fanno il pieno di accessi e ascolti.

Ma se le persone riescono a vedere opere d’arte digitali a prezzi stratosferici, perché non può essere lo stesso per la musica?

Il caso più emblematico è quello dei Kings of Leon che lo scorso marzo hanno venduto il nuovo album sotto forma di NFT. La band ha offerto ai fan disco e download digitale al prezzo di 50 dollari; oltretutto stiamo parlando di un’iniziativa che – a detta della band – sarà unica e irripetibile, facendo acquistare al disco quell’aura di rarità ed esclusività che ha convinto milioni di fan.

Prima dei Kings of Leon in pochi avevano usato gli NFT a questo scopo; nell’ultimo anno però i fortunati “gettoni” sono diventati molto più popolari, portando molti artisti a valutare la cosa; anche per far fronte alla crisi economica generata dallo stop dei concerti per il Covid.

Tra le altre prospettive per gli NFT su cui molte case discografiche stanno lavorando c’è quella dei biglietti. Anche qui i Kings of Leon hanno anticipato i tempi e messo in vendita sei golden ticket; dei biglietti speciali che davano ai fan la possibilità di ricevere A VITA, ben quattro ingressi a concerti ed eventi con la band. Inoltre i possessori di questo prestigioso pass hanno avuto anche accesso ai vari backstage, a tutta una serie di gadget limitati e a moltissime altre esclusive da vivere con la band stessa.

Uno di questi biglietti all inclusive è stato venduto per 89 Ether, circa 160.000 dollari. Non male per un singolo biglietto.

A fronte di questa iniziativa appare evidente che il binomio musica e NFT non può che essere destinato a usi futuri decisamente interessanti anche se comunque parecchio costosi. Però con una diffusione più capillare di questo sistema, non si esclude anzitutto un abbassamento dei prezzi; poi potrebbero esserci molti benefici economici per gli artisti, cosa che in un momento di crisi come questo non guasterebbe affatto.

NFT e Blockchain: il caso italiano

Achille Lauro è stato il primo artista ad entrare nel mercato degli NFT e della Blockchain e ha di recente siglato un accordo con Gian Luca Comandini, fondatore di AssoBit.

L’idea alla base della collaborazione è quella di puntare alle nuove forme di business legate a questa tecnologia. Così facendo si cercherà anzitutto di sponsorizzare le opere di vari artisti del nostro panorama musicale; e in secondo luogo si cercherà di creare dei progetti di sviluppo futuri in favore della categoria.

Tra gli altri che hanno abbracciato la causa degli NFT, troviamo Mahmood che ha deciso di sfruttare la cosa per il lancio del disco “Ghettolimpo”.

Per l’occasione sono state create delle video animazioni legate a degli avatar ispirati ai brani del disco e molto altro materiale per il progetto musicale. Il prezzo per un singolo avatar è di 299 euro e includerà anche la versione fisica del disco e molto altro.

Tra gli altri artisti troviamo i Belladonna, band romana che ha venduto l’inedito “New Future Travelogue” sotto forma di NFT, aggiungendo al pacchetto anche i diritti di copyright del brano. 

Stesso discorso per Morgan, anch’esso tra i primi a portare questa tecnologia sul mercato italiano con il brano “Premessa nella Premessa” messo all’asta sotto forma di NFT.

Musica e NFT, vantaggi e svantaggi

Se è vero che gli NFT saranno realmente il futuro della musica, occorre andare a vedere in concreto, quali saranno i vantaggi per gli artisti e per i consumatori.

Se da un lato i benefici sono evidenti, dall’altro è anche vero che questo tipo di tecnologia ha delle “controindicazioni”: l’impatto ambientale.

La prima riflessione al riguardo è nata dopo che i Gorillaz hanno deciso che, per i vent’anni del loro disco d’esordio, avrebbero pubblicato musica e merch sotto forma NFT. A fronte di queste dichiarazioni, però, molti fan hanno criticato aspramente la band perché il processo produce un certo quantitativo di CO2 per le varie transazioni.

Allo stesso modo dei Bitcoin e le varie criptovalute, infatti, anche gli NFT producono altissimi livelli di anidride carbonica per colpa del mining.

In questo caso il problema deriva dal fatto che per verificare l’autenticità del prodotto occorre una notevole potenza di calcolo, che può essere raggiunta solo utilizzando moltissimi PC che eseguono operazioni complesse. Questo ha ovviamente un costo in termini energetici. I dati previsti non sono stati ancora resi noti, ma sembra che un NFT in media consuma la stessa energia elettrica che consumerebbe un cittadino europeo in un mese. Dati preoccupanti per l’ambiente; ma se prendiamo in considerazione i guadagni stratosferici raggiunti dai King of Leon, ad esempio, o dalla vendita di opere d’arte NFT, appare evidente che questo tipo di mercato sta attirando sempre più consensi anche a discapito delle emissioni.

La speranza è che per il futuro il mining venga regolamentato e alimentato da fonti di energia rinnovabili; così che questa tecnologia sia realmente un beneficio (per la musica e non solo), ma senza impattare così duramente sull’ambiente.