Corporate Innovation

Perché disegnare una strategia proiettata alla creazione di un ecosistema

Andrea Solimene Pubblicato: 22 Agosto 2021

Ecosystem Strategy, disegnare ecosistemi di innovazione

Oggi se vuoi far la differenza, devi aprire il tuo campo visivo e ampliare i perimetri di azione. Ecco perché hai bisogno di costruire una strategia orientata all’ecosistema e non solo al mercato. 

Dalla catena del valore all’ecosistema di valore

Lo sapevi che il punto di riferimento per l’innovazione negli Stati Uniti era a Boston una volta? Negli anni ’60-’80 la Route 128, poco fuori Boston, era il centro della tecnologia made in USA, paragonabile all’attuale Silicon Valley (San Francisco).

Erano presenti un mix di grandi e piccole aziende tech, università, qualche investitore e diverse opportunità di finanziamento militare in grado di servire le necessità dell’attuale mercato. La Route 128 era vicina alle principali istituzioni universitarie come Harvard, Yale, MIT e ai Bell Laboratories (noti Bell Labs), centro di ricerca “iconico” oggi proprietà di Nokia e palcoscenico di numerosi studi e ricerche trasformatesi in premi Nobel.

Un posto alquanto invidiabile.

Secondo una giovane docente dell’Università di Berkeley, AnnaLee Saxenian, l’area di Boston ha rallentato la sua corsa – facendosi superare dall’incredibile dinamismo di San Francisco – perché era troppo orientata al mercato. Da una parte (Route 128) c’era un insieme di aziende che rappresentavano una lunga catena del valore per soddisfare le esigenze del momento, dall’altra (Silicon Valley) c’era un gigantesco sito in cui le aziende si contaminavano, scambiavano apertamente e reciprocamente informazioni, coltivavano culture che incoraggiavano gli imprenditori ad assumersi rischi e li premiava privilegiando la meritocrazia.

La grande differenza sta nel fatto che la Silicon Valley ha costruito un ecosistema, la Route 128 no. Tesi aspramente criticata dai fedelissimi di Boston.

Tuttavia, è giusto rammentare che Boston è comunque la seconda area a maggior sviluppo tecnologico degli Stati Uniti e meta ambita da numerosi startup, corporate e investitori. Mica bruscolini… 

Verso una Ecosystem Strategy

Oggi siamo in una economia guidata – tra le tante cose (gig, sharing, big data, green, …) – dalle relazioni e dalla capacità di creare valore all’interno di un vasto network.

Il concetto di vantaggio competitivo non esiste più per come l’abbiamo sempre interpretato (e recepito da Michael Porter): una ricerca dell’efficienza e della massimizzazione del potere contrattuale nei confronti di clienti, fornitori, beni sostitutivi e nuovi del mercato.

Il vantaggio competitivo si manifesta solo quando si crea un ecosistema.

Semplifico: non appena realizzi un prodotto/servizio e lo metti sul mercato, puoi esser sicuro che prima di subito c’è qualcuno che si posiziona con la tua stessa offerta a cui si aggiungono una o più funzionalità. La tua intuizione, trasformatasi in offerta, perde di distintività nell’arco di pochissimo tempo. Fare lo stesso con un ecosistema è molto più complesso, perché la creazione dell’ecosistema stesso ha un livello di complessità – e richiede tempi – decisamente diversi.

Nell’articolo HBR del 2019 “In the Ecosystem Economy, what’s your strategy?” l’autore sottolinea come negli attuali contesti l’azienda non può considerarsi come l’unico attore strategico in grado di operare autonomamente. Il suo successo dipende dalla collaborazione con altre aziende in un ecosistema progettato che interseca possibilmente più settori. Cita l’esempio di Nestlé, che per il lancio e la commercializzazione della Nespresso, ha progettato e creato una rete di più aziende (partner, produttori) facendole lavorare secondo regole condivise, a volte anche su piattaforme condivise, per rendere uniformi standard, prodotti e processi.

In ecosystem competition, success involves helping other firms innovate.

Harvard Business Review

Secondo HBR questo fenomeno è stato accelerato dalla convergenza di 3 grandi cambiamenti strutturali nella nostra economia:

È sempre meno probabile che singole aziende possano offrire tutti gli elementi di cui un cliente ha bisogno (fatta eccezione per Amazon, naturalmente!). 

Competere in un ambiente ecosistemico è molto diverso da una tradizionale strategia della catena del valore. Mentre una catena del valore è guidata dall’efficienza, un ecosistema è guidato dalle connessioni in una rete. Per competere in un mondo fatto di network, è necessario ampliare e approfondire costantemente le connessioni.

Invece di cercare sempre di massimizzare il potere contrattuale, devi cercare opportunità per co-creare con clienti e fornitori, per integrare i tuoi prodotti e servizi con potenziali sostituti e formare partnership con nuovi operatori del mercato. Il potere non risiede più al vertice delle catene del valore, ma piuttosto al centro delle reti, e la collaborazione è diventata il vero nuovo vantaggio competitivo.

La verità è che non possiamo più gestire la stabilità, dobbiamo gestire la rottura. Non possiamo prevedere il futuro, ma possiamo connetterci ad esso, coltivarlo e trarne profitto. Eppure per farlo è necessario molto più di un semplice cambiamento di strategia e tattica: bisogna ottenere un cambiamento fondamentale di mentalità.

In più, la crescente attenzione verso i temi della sostenibilità rende tutto molto più interessante e articolato. Non parliamo solo ed esclusivamente di innovazione di business e di ecosistemi finalizzati alla produzione di beni e servizi, come potevano essere intesi un distretto o un consorzio, tempo fa. Gli ecosistemi che si affermano sono quelli che coniugano l’innovazione aperta e l’innovazione sociale, andando a risolvere problemi legati alla sostenibilità e al futuro del nostro pianeta.

Sto approfondendo questo fenomeno con degli studi sulla Coalescence Innovation, un paradigma di innovazione che mira alla creazione di ecosistemi virtuosi in cui ogni partecipante è un agente attivo del cambiamento.

Approfondisci Coalescence Innovation qui:

Come la Route 128 ha subito un duro colpo tempo fa, così oggi la Silicon Valley combatte il suo primato a livello mondiale con nuovi ecosistemi. Si pensi a Tel Aviv, Berlino, Stoccolma, Sydney, Shenzhen, Lisbona, Bangalore. Tutte aree che vivono un florido periodo di crescita, integrazione culturale e fermento di idee e talenti.

Roma o Milano possono diventare degli ecosistemi virtuosi a livello internazionale? E la tua organizzazione? Hai già pensato come?