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Previously on Spremute Digitali: le 7 Audiospremute più ascoltate

Redazione Spremute Digitali Pubblicato: 14 Settembre 2021

audiospremute più ascoltate

In attesa della nuova stagione delle Audiospremute realizzate dal team di Spremute Digitali, ti lasciamo una selezione delle 7 puntate più ascoltate della precedente stagione. L’estate sta per finire e a breve ritorneremo on-line con tanti nuovi ospiti e tante nuove Video Spremute e Audiospremute, che ti terranno compagnia durante i freddi mesi invernali e oltre.

Google Ads è uno strumento che realmente può essere considerato come “full-funnel”; cioè che può riguardare anche account molto piccoli. Non c’è bisogno che il volume di click e quello di spesa siano necessariamente ampi. Si può lavorare su livelli di consapevolezza diversi, cioè anche per persone che non stanno cercando attivamente un prodotto o un servizio. Insomma Google non è solo ricerca, ma è un ecosistema molto più ampio che può arrivare, veramente, a un numero altissimo di persone

E questo strumento, potenzialmente, è adatto a tutti gli inserzionisti, a patto che abbiano un po’ di accortezze nella gestione, insomma che sappiano dedicare il giusto tempo e le giuste attenzioni ai processi di sponsorizzazione

Ovviamente Google si aspetta anche molta pertinenza rispetto all’annuncio che vede l’utente che sta cercando qualcosa. Poter ragionare su strutture rigide con una buona corrispondenza tra ciò che appare sul motore di ricerca e ciò che l’utente ha cercato è molto utile perché serve ad aumentare il punteggio di qualità e che determina l’affidabilità dell’inserzionista. Per questo vale la pena concentrarsi sulla qualità dell’inserzione. 

L’altro dettaglio fondamentale è quello che riguarda le creatività. È l’utente l’arbitro del successo di una qualunque campagna di advertising; per questo è importantissimo curare la creatività con buoni annunci, buone landing page e contenuti.

Per saperne di più ascolta le nostre Audiospremute.

Smart Working, la parola a Mariano Corso

Lo Smart Working è qualcosa che può trasformare il nostro modo di lavorare, ma non solo; questo infatti può cambiare radicalmente anche il nostro modo di vivere.

Il periodo di emergenza sanitaria ha posto lo Smart Working sotto i riflettori, tuttavia non si può parlare realmente di “lavoro intelligente” perché questo presuppone dei capisaldi differenti che non sono stati ancora approfonditi a dovere nel nostro paese.

Ma partiamo dalle definizioni.

Lo Smart Working è un modello organizzativo ed è basato su un principio molto semplice, che è quello di dare ai lavoratori autonomia nella scelta di dove lavorare, degli orari, degli strumenti utilizzati, in cambio di una responsabilizzazione sui risultati.

Mariano Corso

Lo Smart Working non è lavorare da remoto; non è una cosa da fare quando sei a casa. Smart working è poter scegliere, questa è nella prima definizione data, è nella legge ma all’atto pratico questa cosa si va persa perché lo Smart Working non rappresenta il lavoro da casa. Vuol dire cambiare prospettiva e dire non conta più l’orario conta il risultato. Più le persone sono autonome e più possono rispondere dei risultati.

Durante la pandemia siamo stati “iper-vincolati” e non c’è stata la possibilità di scegliere. Non c’è stato il tempo di rivedere il modello organizzativo… Quindi quello che abbiamo fatto non si può definire propriamente Smart Working; tuttavia proprio perché è stato forzato ci ha costretto a mettere in discussione tutta una serie di pregiudizi che ci hanno portato a scoprire nuovi modo di lavoro altrettanto efficaci.

Audiospremute: Silvia Zanella ci parla del lavoro del futuro

L’emergenza sanitaria ci ha messo di fronte all’evidenza che alcuni fenomeni, si pensava fossero difficili da realizzare.

Principalmente in Italia uno dei problemi fondamentali è che non c’è un ricambio generazionale costante e il fatto che spesso si trovano a lavorare insieme più generazioni diverse. Questo ovviamente provoca delle difficoltà organizzative e gestionali che deve portare a un cambiamento anche negli approcci lavorativi.

Un altro tema fondamentale è l’approccio al digitale e alla tecnologia in generale. Questo forse è l’argomento portante che è venuto fuori dall’emergenza e che ha reso più consapevoli le aziende al riguardo e le ha portate a rivedere completamente i propri paradigmi.

E ancora, il tema dell’accoglienza delle diversità; non si parla solo di globalizzazione. Si tratta proprio di un’accoglienza all’interno della propria società che non poteva più tollerare il fatto che alcune rappresentanze non fossero ancora tenute in considerazione.

L’emergenza non ha fatto altro che sollevare delle questioni che erano latenti e ha dato delle grandi opportunità come: l’attenzione per il risultato e la necessità di istituire un clima di fiducia che fino a pochi mesi era un qualcosa di impensabile.

Adesso è diventato un imperativo, poiché senza non si può lavorare in maniera efficace a distanza. 

Il futuro del lavoro dovrebbe tenere conto di una serie di dimensioni “soft” che fino a poco fa non erano nemmeno percepite; tutte quelle competenze, cosiddette trasversali, che possono aiutare a costruire persone più capaci a gestire il cambiamento e di condividere esperienze

Parallelamente bisognerebbe concentrarsi verso le New Ways of Working che prevedono una ridefinizione dei tempi, degli spazi e delle piattaforme del lavoro. E questo significa non pensare più ai vecchi paradigmi lavorativi, ma orientarsi verso queste evoluzioni non più concentrati sulla singola attività, ma sul valore che si genera. 

Per saperne di più ascolta l’Audiospremuta di Silvia Zanella.

Audiospremute: quatto chiacchiere con Le Coliche

Le Coliche sono uno dei fenomeni del web degli ultimi anni. Claudio e Fabrizio Colica insieme al regista Giacomo Spaconi ci parlano del loro straordinario successo sul web; tra battute e frecciatine i tre ripercorreranno come vengono alla luce i loro video e che cosa li ispira durante la scrittura dei loro sketch comici.

Cosa cambia nella comicità nel dover far ridere attraverso lo schermo? Come si fa a diventare delle celebrità su Youtube? Questo e molto altro nella nostra chiacchierata con Le Coliche.

Per saperne di più ascolta le nostre Audiospremute.

Taffo, come raccontare un settore “così complesso”?

Le aziende devono cominciare a parlare come le persone e a interagire con gli utenti cercando sempre nuovi metodi creativi. Non importa come, l’importante è che creino un rapporto diretto con le persone.

Se si pensasse più al consumatore, a conquistarlo e a creare un dialogo che lo interessi, molto di più del semplice parlare di un prodotto si otterrebbero molti più benefici. Pensando al caso Taffo, un’azienda può parlare di vaccini, di tematiche LGBT e quant’altro perché a parlare sono un gruppo di persone a cui interessano anche temi del genere e non solo quelli relativi al brand.

Un marchio per funzionare sui social, oggi deve essere trasparente e dimostrare quello che è con i suoi pregi e con i suoi difetti. Tutto ciò che si fa (o che non si fa) può essere un modo per parlare all’utente e per entrare in contatto con lui.

Bisogna parlare di empatia, capire ciò di cui l’utente ha bisogno e cercare di darglielo. Che siano battaglie su tematiche sociali o ideologiche; un brand dovrebbe schierarsi a prescindere da tutto e far capire al mondo la propria personalità e il proprio punto di vista riguardo determinati argomenti; è una cosa importante perché si arriva a stringere un rapporto molto intimo con il proprio target.

C’è bisogno sicuramente di creatività e bisogna trovare modi sempre nuovi per dialogare con il proprio pubblico; se decidiamo di parlare sui social occorrerà, ovviamente, scegliere temi molto social e sempre sul pezzo e in grado di sfruttare al meglio il mezzo in cui vengono trasmessi.

Non bisogna necessariamente cavalcare ogni evento virale e stare “sul pezzo” h24. Bisogna elaborare una strategia in base al proprio brand e prendere in considerazione solo le cose più in linea con i valori e in contenuti dell’azienda.

Se un argomento può arrivare a tutto il tuo pubblico in target allora può essere valido; altrimenti può essere anche tralasciato perché (forse) non tutto è adatto a un brand. La capacità di un SMM o di un creativo è anche quella di trovare quel collegamento che possa essere in linea con un dato brand o una strategia di contenuti.

Audiospremute, Marco Onorato ci parla di Marketing Espresso

I social sono un canale molto importante per la comunicazione, per questo bisogna pensare ai contenuti come alla “voce” di un brand sui social

Prendendo per esempio il real time marketing di alcuni noti brand questo si integra perfettamente con il messaggio che questi vogliono far passare; ma non bisogna mai dimenticare che alla base della creazione di contenuti di valore c’è sempre quello di studiare una strategia. Un post che non è in tema con il nostro marchio o con ciò che vogliamo comunicare, per quanto, ben fatto o divertente, comunque non porterà nulla al nostro prodotto; per cui il real time marketing va usato, assolutamente, ma nell’ambito di una strategia più ampia che include al suo interno diverse scelte.

Non ci sono contenuti buoni senza strategia. Si pensa che per creare contenuti efficaci basti aprire una pagina e iniziare a creare. Non è così perché pubblicare qualcosa che può essere identificata come “virale”, ma che non è in tema con ciò che facciamo o con ciò che vogliamo realizzare, non avrà alcun risultato.

Per questo occorre capire quali contenuti creare, a quali persone rivolgiamo tali contenuti. Questo è alla base di ogni strategia social coerente ed efficace.

Per fare contenuti funzionali occorre, quindi, studiare il target e il brand stesso per capire bene come esprimerci al meglio sul web.

È importante sempre creare valore. Dobbiamo far sì che l’utente, una volta che entra a contatto col nostro contenuto, esca fuori dalla piattaforma con un qualcosa che crei valore. Non bisogna parlare solo di se stessi e di cosa abbiamo da offrire ai nostri clienti; bisogna dare vita a un qualcosa che serva a loro e che li aiuti a capire qualcosa in più. 

Poi ovviamente bisogna aggiustare il tiro in corso d’opera, perché le cose possono cambiare, ci possono essere “imprevisti” o alcune situazioni che funzionano meglio di altre.

Ed è proprio questo cambiamento che non possiamo non tenere in considerazione quando si parla di una strategia social. Uno ad esempio, l’abbiamo vissuto nell’ultimo anno e mezzo di emergenza sanitaria: il Covid ha portato tutti a rivalutare e ridisegnare le proprie strategie per i contenuti.  La pandemia, anche se fortunatamente non è una cosa che capita di frequente, è comunque un modo per farci capire che quando cambia il contesto cambiano anche le esigenze delle persone e, quindi, le strategie dei contenute che vanno riadattate per le nuove esigenze. 

Per saperne di più ascolta le nostre Audiospremute.

Chi ha paura del buio, la scienza sbarca sui social

Lo stile di divulgazione sui social è molto meno accademico rispetto a quello che c’è nell’ambiente universitario e si avvicina più a quello dei grandi divulgatori dei nostri tempi. Margherita Hack, Piero Angela, Carl Sagan, Rita Levi-Montalcini… 

L’idea che c’è dietro lo stile che utilizziamo è quella, sicuramente, di mantenere il più possibile l’accuratezza, ma poi in ogni opera di comunicazione c’è un certo grado di rielaborazione. Anche quando gli scienziati scrivono un qualsiasi documento fanno una rielaborazione di quelli che sono i dati. Non esiste l’idea della scienza pura, quella che viene fatta dagli scienziati e resa più fruibile per la persona qualunque; in questa rete sociale siamo tutti sullo stesso livello: lo scienziato comunica sui social allo stesso livello della famosa casalinga di Voghera.

Entrambe le parti si influenzeranno a vicenda in base a come scrivono; si crea quindi un ripensamento di come la divulgazione viene percepita e metabolizzata dall’utenza.

Siamo tutti sullo stesso piano, su una rete che continuamente si scambia informazioni e in tutto questo ognuno si sceglie il proprio ruolo; noi abbiamo scelto di trasferire le cose scritte sulle riviste sui social, per cui serve un linguaggio diverso, adatto al nuovo canale. Quindi su Facebook abbiamo iniziato a condividere cose, ma qui non si legge molto e si preferiscono i contenuti visuali, per cui abbiamo dovuto associare ai post delle immagini. Ogni volta che facciamo un articolo su un determinato argomento discutiamo su quale immagine è più adatta ai social.

Per Instagram dobbiamo mettere contenuti ancora più asciutti perché la gente legge ancora meno; stesso discorso per le storie che riassumono perfettamente quella che è la durata dell’attenzione dello spettatore medio.

Insomma bisogna cambiare e adattarsi a quello che è il mezzo scelto, senza però dimenticare mai l’accuratezza di cui sopra e la correttezza delle informazioni date.

Diciamo che di base cerchiamo di evitare anglicismi, il sensazionalismo e il click baiting. Diciamo che scrivere sui social è un’arte che cambia in base alla situazione e al mezzo di divulgazione, tenendo sempre ben presente le linee guida del progetto ma adattandosi alle varie esigenze comunicative dei social.

Per saperne di più ascolta le nostre Audiospremute.