Corporate Innovation, New Ways of Working

Viaggio verso la felicita’. Tappa n 2: Fucking Monday

Laura Ribotta Pubblicato: 5 Dicembre 2016

clima aziendale

Oggi riparto, zaino in spalla per la seconda tappa del nostro viaggio verso la felicità. La scorsa volta avevamo approfondito il tema dell’isolamento sociale sul lavoro e di come recuperare la dimensione della relazione possa aiutarci ad essere felici. Oggi parliamo del lunedì e del “clima aziendale” in cui viviamo al lavoro.
Il lunedì inteso proprio come quello di Vasco Rossi, cioè antitesi del sabato del villaggio di Leopardi.
Dunque perché il lavoratore medio ha il terrore del lunedì mattina? Perché sa cosa lo aspetta, cioè il “clima” del suo ufficio.
Dal sito “Psicologia del lavoro” otteniamo una definizione ampia del clima aziendale:

Il clima può essere considerato come un insieme di percezioni condivise e correlate tra loro relative alla realtà lavorativa/organizzativa, cioè il modo in cui i soggetti percepiscono e interpretano l’azienda e le sue caratteristiche. È la sintesi di vari fattori quali per esempio le rappresentazioni soggettive, le mappe cognitive di ogni persona coinvolta, le percezioni individuali, le interazioni tra i soggetti, il contesto organizzativo e la cultura ivi presente.

Dunque per modificare la percezione del lavoratore medio potremmo agire sul cambiamento climatico… aziendale!
Oggi ci accompagna in questa seconda Tappa verso la Felicità Matteo Marini, psicologo del lavoro.  Matteo ed io, ci siamo conosciuti di persona al Freelance Day di Torino dove offriva consulenze ai partecipanti. Soltanto in un secondo momento ho letto con attenzione il suo libro, a cui, non a caso, ho rubato il titolo per questo blogpost: “Fucking monday. Corso di sopravvivenza in ufficio.
La frase che ho letto nell’introduzione mi ha convinta a proseguire, sarà perché è un mio pensiero dominante negli ultimi anni.

Siamo veramente convinti che sia meglio vivere in pensione anziché durante gli anni lavorativi? Meglio anziani liberi che giovani… Schiavi?

Il clima lo possiamo pensare composto da un luogo fisico, che deve essere in grado di fornirci gli strumenti per lavorare e da persone che stanno accanto a noi. Mi concentrerei ora sulla fauna piuttosto che sull’habitat di questo strano posto chiamato ufficio. Leggiamo ad esempio che sono presenti, ben lungi dall’estinguersi, i fancazzisti.

Potremmo dividere tale categoria in due sottocategorie: i fancazzisti endogeni e quelli esogeni.
I primi sono elementi poco avvezzi al lavoro, e sono una strettissima minoranza. Hanno fatto dell’inerzia uno stile di vita e mutare la loro prospettiva è piuttosto impegnativo. Che dire? Fortuna che sono pochissimi!
Parliamo adesso dei fancazzisti esogeni. Ovvero di quella categoria che in una condizione di stress non riesce a esprimersi lavorativamente. Tale tipologia di lavoratori è un evidente prodotto di una patologia organizzativa.

Ad esempio nella mia esperienza nella pubblica amministrazione, ne ho incontrati parecchi di fancazzisti (non tanti come dicono i giornalisti), ma tutti di natura esogena. Cioè quelle persone che, messe in un altro posto, gestite in un’altra maniera, avrebbero dato molto all’organizzazione.
Q. Chiediamo allora a Matteo cosa deve fare un capo quando si accorge di avere nella sua squadra un fancazzista esogeno:
Matteo: Beh … anzitutto sfatiamo il mito che il fancazzista esogeno sia una persona felice, per via del fatto che lavora poco o nulla.
La mancanza di lavoro raramente genera serenità … anzi … in molti casi ingegnarsi per non fare niente è più faticoso e ansiogeno che lavorare proprio! Se una persona sceglie quindi questa tortuosa strada significa che il lavoro (o l’ambiente lavorativo) crea sofferenza.
Per molti capi è facile constatare la scarsa produttività, ma pochi si chiedono veramente da cosa è determinata.
Cazziare qualcuno è facile (o anche, ancora di più far finta di niente). Ma se non ci si chiede cosa porta ad una fase di stress tale da bloccare un individuo, dove vogliamo andare?
È ovvio che ci sono caratteristiche individuali che più di altre predispongono al rischio stress, ma molto spesso i capi attribuiscono le cause dello stress unicamente agli individui… e non all’organizzazione!
Questo approccio è una discreta paraculata visto che lo stress non è causato da uno solo fattore, ma da una moltitudine di elementi… Vogliamo quindi accettare che, salvo rare situazioni, l’organizzazione ha una porzione quantomeno variabile di responsabilità? Consideriamo poi che il capo che attribuisce l’unica responsabilità alla persona sofferente, non sarà incline a mettere in discussione qualcosa.
Quindi per tornare alla domanda su cosa può fare il capo: chiedersi da cosa dipenda lo stress dell’individuo, perché è portato a non lavorare. La consapevolezza è il primo passo per programmare un intervento (singolo o di gruppo) per aggredire lo stress.
Un’altra specie che non si estingue nell’habitat ufficio è lo “stronzo da ufficio”. Faccia un clic chi non ne ha mai conosciuto uno… Tutti ne abbiamo incontrati.
Ecco la definizione che troviamo sul libro, con il sinonimo di mobber:

Soggetto la cui personalità è “guidata da narcisismo maligno” e che prova piacere nell’infliggere sofferenza agli altri.
Essendo caratterizzato anche da un malsano senso di grandiosità, ama circondarsi di leccapiedi che appoggiano il suo comportamento e ovviamente si accanisce contro tutti quelli che non condividono la sua condotta.
Nei confronti di questi sventurati, di fatto, può manifestare veri e propri atteggiamenti persecutori. Inoltre, il mobber “soffre di una sindrome da onnipotenza Io-Dio” e spesso non si rende conto delle possibili conseguenze delle sue azioni, anche quando possono essere gravi… in fondo a lui tutto è permesso e tutto è dovuto.
Questo soggetto prova molto difficilmente sensi di colpa e giustifica anche le azioni più abiette con la presunta incompetenza della vittima. Non si fa problemi a manipolare, sfruttare o prendere di mira gli altri, specie se scatenano la sua gelosia o invidia.

Possiamo imparare come affrontare e sopravvivere allo stronzo da ufficio.
Q. Per riassumere il tuo messaggio, Matteo, possiamo dire che per uscirne vincitori dobbiamo liberarci dalle nostre paure?
Matteo: Se c’è una cosa nel quale lo stronzo da ufficio è bravo, è manipolare e rendere la vita agli altri impossibile. Niente di strano, certi individui sentono il bisogno di “mettere sotto” gli altri per sentirsi appagati, risulta tuttavia evidente che gli stronzi possono rovinarci la vita solo se fanno leva sui nostri punti deboli e le nostre insicurezze e c’è da dire che queste persone  hanno un gran talento nello scovare le nostre falle.
Q. Cosa è quindi opportuno fare?
Matteo:

  1. Non confidatevi, ogni vostra debolezza sarà rivoltata contro di voi! I primi tempi appaiono come persone affabili e simpatiche, lasciate passare del tempo prima di fidarvi dei colleghi sconosciuti.
  2. Non fanno mai niente per niente… Pensateci bene prima di mettervi in una situazione in cui loro vi fanno dei favori.
  3. Utilizzeranno strategie come il senso di colpa (micidiale!) alternato a comportamenti aggressivi. Non entrate in dinamiche di questo tipo! Nel momento in cui non date loro soddisfazione migreranno probabilmente verso altri colleghi.

Se il nostro dialogo vi ha intrigato, potete continuare a seguire Matteo qui sul suo sito ufficiale.
Io ho solo una cosa da aggiungere:
A qualunque specie apparteniate nella giungla da ufficio, sappiate che ognuno di noi può fare qualcosa per cambiare l’ambiente che lo circonda, per avvicinarsi alla felicità.
L’unica cosa che ci impedisce di farlo e’ volerlo davvero.


Torna alla Tappa n. 1 del Manifesto per la Felicità se vuoi approfondire il tema dell’isolamento sociale sul lavoro e di come ritrovare la felicità.