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Discorsi sul metodo – Limiti all’idea d’avanguardia nel consumo di massa: Twitch.tv

Riccardo Malaspina Pubblicato: 10 Dicembre 2020

twitch.tv

Recentemente l’Ansa ha pubblicato un articolo dal tema molto peculiare “Dopo TikTok la nuova mania è Twitch” in cui viene trattata la crescita dei volumi di utilizzo della piattaforma durante il lock down, come se questa fosse una novità introdotta durante la crisi pandemica, e non come se ci fosse un incremento dei numeri dettati dalla ricerca d’intrattenimento durante lo stato di coatta reclusione. Che è un po’ come guardare alle analytics di Pornhub e scrivere un articolo su quanto sia una fresca novità durante l’attuale stato di cose.
Tolta questa introduzione un po’ caustica però il problema è reale. C’è una serie di mancanze dell’approccio giornalistico a questa piattaforma che non ne evidenzia lo status quo odierno.

Il limite del concetto di avanguardia in un contesto comunitario

Twitch.tv limiti al consumo di massa?

Twitch.tv ha basato il suo mercato e i suoi modelli di consumo.

È vero che per i più, Twitch, è nuova tecnologia. Ed è anche vero che è intrattenimento d’avanguardia, rispetto anche ai media più recenti, piattaforme come Youtube o la vecchia guardia dello streaming.
Ma è altrettanto vero, da almeno tre anni (dall’esperienza personale, ma di norma molti di più), che questa appartenga già all’underground Millennial/Gen-z in Italia, e il suo target di riferimento dalla sua nascita è proprio quella fascia d’età 18* – 34 (ad essere onesti l’Ansa evidenzia che il 14% dell’utenza della piattaforma Amazon sia costituita da minori di 18 anni) che nella fattispecie si rispecchia nel segmento dei giocatori. Categoria che come organo di consumo andrebbe definita in separata sede, ma che rende comunque l’idea di persone altamente competenti nel loro settore d’interesse, o presunti tali (alfabetizzati forse è più corretto), e su questa Twitch.tv ha basato il suo mercato e i suoi modelli di consumo.
Senza questo genere di pubblico, infatti, non si sarebbe mai venuta a creare la collettivizzazione degli spazi digitali da parte delle già preesistenti community. A tal proposito è bello immaginare come il sogno di ogni anziano da bar sia soddisfatto per questa nuova generazione, quelli che prima erano vaneggiamenti di persone che aspramente criticavano le decisioni dell’allenatore riguardo alla formazione della Roma, adesso possono incanalare il loro entusiasmo nel canale e intavolare la discussione non solo tra di loro, ma anche con i diretti interessati.
Le stesse persone che poi facevano in precedenza parte dell’utenza passiva e che poi sono diventate content creator.
Non sarebbe stato possibile creare, in sostanza, un sistema che premiasse l’interazione con lo streamer, se non ci fossero stati dei punti di competenza comune sugli argomenti trattati. Del resto, il modello di consumo di genere televisivo ha già fatto il suo corso, e per i più giovani risulta quasi anacronistico, e già da tempo cercavano nuovi sfoghi per l’intrattenimento.
Sebbene siano presenti podcast generalisti, infatti, molto più spesso gli stream sono di gameplay videogiochi, e in maniera emergente e oramai meno di rado, discussioni tematiche, talk show, produzioni a più alto budget. Quello che va a mancare a chi considera tutto questo una moda recente è però un modello teorico e sociologico che la inquadri correttamente dentro a un già strutturato metodo di fruizione che ha le sue regole e il suo pubblico fidelizzato (cosa non poco rilevante).
Ad essere all’avanguardia è in sostanza l’apparato tecnico, ma lo è da circa otto anni, perché permette una globalizzazione delle discussioni che prima si facevano a scuola o comunque in privato.
Ma basta questo a trattare come nuova, una piattaforma già rodata?


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La formula Twitch.tv – il fruttuoso exploit del concetto di community 

La precedentemente startup, e ora colosso di Amazon, è riuscita a creare un sistema che premia l’interazione tra la vita reale di chi streamma e il filtro fornito dalla cornice virtuale della piattaforma, insomma, sono riusciti a premiare quei contenuti che impattano, attraverso le richieste del pubblico, sullo streamer a più livelli, dalla performance virtuale, al decision making nella vita reale (se si pensava che in Black Mirror fossero esagerati), fino a rendere partecipi e protagonisti gli stessi spettatori delle possibili avventure all’interno dello stesso gioco che fa da contenuto.
L’iniziativa Twitch Plays Pokémon è considerata, da anni il più famoso streaming della storia di Twitch, dove è stata data la possibilità, attraverso l’immissione di input via chat, di giocare tutti insieme e contemporaneamente a Pokémon rosso e blu. Nonostante il delirio che si è venuto a creare, contro tutti i pronostici la lega Pokémon è stata sconfitta, anche con centinaia di migliaia di digitazioni contemporanee al minuto.

twitch.tv e la community

Twitch.tv e il fruttuoso exploit del concetto di community.

L’aftermath della vittoria è stato invece il senso di coesione che la community ha avuto rispetto al successo collettivo, e quindi la glorificazione degli eventi (a quel punto considerabili casuali) che intervenivano durante l’esperienza di gioco. Questo attraverso meme, video, richiami e persino anniversari che ancora adesso vanno di moda, in quello che potremmo definire l’universo locale e culturale di quella detta community.
Un’esperienza che nonostante la sua localizzazione estremamente remota nel nostro atlante virtuale delle settorializzazioni e del pubblico, potrebbe considerarsi alla pari di un’opera d’arte eventuale, (vero teatro povero di Grotowsky?) andando a rompere le barriere di fruizione e creando una forma di sforzo collettivo verso un fine.
La vera domanda ora: si può essere avanguardia in una piattaforma già culturalmente satura e già piena di propri topoi narrativi e format?
La risposta banale è SI. E non solo, l’azione radicale e il valore artistico, dipendendo dalla costruzione concettuale dell’arte contemporanea potrebbero tranquillamente un giorno spostarsi consapevolmente anche su Twitch, come del resto hanno iniziato a spostarsi su Instagram. E considerando che tutti gli artisti di rilievo hanno a oggi un canale social che fa da vetrina, e via dicendo (anche se questo processo spesso può portare al depauperare il valore della fruizione stessa delle opere d’arte, in quanto i modelli di consumo social rischiano di appiattire le profondità concettuali delle opere per la natura stessa dell’attenzione che si richiede nella bolla social, ma lo spiegone sull’ontologia dell’arte lo risparmio… per oggi).
Quello che emerge però è che uscendo dal giudizio artistico e riassorbendo la discussione nel campo dell’intrattenimento, quello a cui viene data la vita è un tessuto pulsante di interazioni. Su cui si basano contenuti sempre nuovi; proprio perché mutano al mutare delle piccole e grandi richieste e capricci del pubblico. Questo, come abbiamo riscontrato è spesso disposto, anche grazie all’effimera notorietà che gli si dà, a pagare e sostenere il proprio streamer se lo dovessero coinvolgere nelle attività, dal giocare insieme alla partecipazione in micro-decisioni, fino a quasi anche solo salutarlo. Elementi che vanno a costituire un insieme di norme sociali ed economiche che dovranno essere spiegate perché sono un codice, non scritto, ricchissimo.
Sperando di aver mostrato quanto più esaustivamente quanto l’utenza di Twitch sia una realtà già radicata, cosa può essere fatto per aumentare il pubblico verso una produzione più generalista?
Secondo te, se Amazon volesse ampliare il proprio pubblico, sarebbe giusto limitare di più i format per renderli adatti a tutti? O perderebbe quello che è il suo pubblico attuale?