New Ways of Working, Personal Empowerment
Lo smart working è un’opportunità, un problema o una moda? Tutti i benefici dello smart working si stanno infrangendo contro la dura realtà? Stress e senso di colpa sono effetti dello smart working?
Il punto fondamentale è che il lavoro svolto obbligatoriamente a casa non è Smart Working.
Ci troviamo in una situazione “molto particolare” che ha spinto le aziende ad accelerare su questo nuovo modo di organizzarsi con conseguenze dal punto di vista tecnologico, organizzativo e personale; inoltre, la pandemia, ha creato degli effetti come l’isolamento, la limitazione della libertà personale e la compresenza in casa di altre persone che lavorano o studiano oppure fanno altro, creando problemi di non poco conto al lavoratore, che rischia di essere molto più stressato.
Tante riunioni, continui messaggi su WhatsApp, Telegram, mail, sistemi di comunicazione aziendali, telefonate, PC, smartphone, tablet e collegamento sempre disponibili. Call oltre l’orario di lavoro “tanto stai a casa!”, “tanto sto a casa!”, “è urgente”, la DAD, i compiti, la spazzatura, la preparazione di colazione, pranzo e cena, la lavatrice… Tutto questo in un unico ambito, quello domestico.
Ci siamo trovati nella posizione di dover spostare la postazione di lavoro, dall’azienda a casa e, spesso solo a casa, con degli effetti “indesiderati” piuttosto impattanti dal punto di vista dello stress.
Lo smart working, lavoro agile, è disciplinato dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017 che all’art. 18 comma 1. recita:
Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
La definizione è importante perché ci consente di fare delle considerazioni preliminari:
Fatte queste premesse, vediamo quali possono essere alcune dinamiche legate allo smart working che possono incidere sullo stress.
Riprendendo la definizione che la legge fornisce, ci rendiamo conto che sono previsti dei margini significativi di flessibilità in termini di spazio e tempo di lavoro. Questo significa che il lavoratore agile ha una certa autonomia e libertà nell’organizzare la propria vita lavorativa e privata con effetti positivi come:
È interessante notare come le persone le cui aziende hanno attivato già da tempo lo smart working (quello vero) abbiano una percezione positiva di questa tipologia di lavoro; invece, le persone che lo stanno vivendo durante la pandemia ne percepiscano di più gli aspetti negativi. Questo è dovuto al semplice trasferimento del modo di lavorare tradizionale (basato sul contatto fisico costante, sul controllo e su spazi di separazione netti tra lavoro e vita privata) alla modalità in smart working.
Lo spazio e il tempo di lavoro, soprattutto se lavoriamo in casa, stanno diventando sempre più labili e sfumati, tanto da sovrapporsi; se non gestiti in maniera consapevole, rischiano di creare delle situazioni molto stressanti in cui o la vita lavorativa invade lo spazio personale e privato, oppure il contrario.
Tutto questo porta la persona a vivere, soprattutto in questo periodo, una situazione di forte stress dovuto alle continue richieste da parte dell’ambiente esterno che sottopone ad una pressione pressoché costante.
Alcuni lavoratori dichiarano che il lavoro da casa ha aumentato il carico di lavoro; questo è dovuto in parte alle richieste dei colleghi, in parte alla difficoltà di dire di no dopo l’orario di lavoro a richieste che non riguardino situazioni di emergenza.
Il problema deriva dal punto precedente, essendo la postazione di lavoro a portata di mano con una connessione attiva, può portare la persona alla convinzione di dover rispondere immediatamente alle richieste lavorative, e se non lo fa si sente in colpa.
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La mancanza del caffè con i colleghi è aumentata. La pandemia ha comportato un distanziamento sociale che fa sentire le persone più sole, e la percezione che ne deriva è che sia un effetto dello Smart Working.
In realtà, se non ci fosse questa situazione di emergenza, le persone avrebbero la flessibilità di spazio che consentirebbe loro di svolgere una parte del lavoro settimanale a casa e una parte in azienda, riducendo la sensazione di essere isolati.
La costante connessione può portare la persona a non rendersi conto delle continue stimolazioni a cui è sottoposta dal PC, dallo smartphone e dal tablet, che da alleati nello Smart Working rischiano di diventare nemici a causa dell’uso scarsamente consapevole.
Spesso, ad esempio, abbiamo sullo smartphone la mail dell’ufficio con attivate le notifiche, questo comporta che se arriva una mail dopo l’orario di lavoro saremo tentati di leggerla con conseguente attivazione di una possibile reazione da stress.
Le aziende devono sviluppare un’organizzazione del lavoro flessibile in termini di spazio e di tempo, dando maggiore autonomia e responsabilità alle persone nel raggiungimento dei risultati attesi, indicando precisi obiettivi e indicatori di prestazione e feedback di sviluppo.
Si tratta di creare una nuova cultura organizzativa basata su un mindset volto non più al controllo, ma alla valorizzazione della persona che lavora. Non solo l’approccio organizzativo deve cambiare, ma il lavoratore e la lavoratrice devono allenare la loro mente allo smart working.
Buon smart working con consapevolezza.