Marketing & Communication
Nella storia del capitalismo, ci si riferisce all’età dell’oro quando si parla del periodo che va dal dopoguerra americano fino agli anni settanta. La svolta di produzione paradisiaca negli anni 50, ha portato a un accumulo di risorse tale da permettere alla piccola borghesia di spendere il surplus guadagnato in elementi di svago e di comodo.
L’espansione del mercato (che nell’economia italiana ha visto il suo picco durante gli anni sessanta) ha dato vita alla più florida delle industrie di servizi, la pubblicità come la conosciamo oggi. Non che non esistesse già dai tempi antichi, e non che non ci fossero già forme di packaging, promozione, insegne e manifesti nell’era pre-televisiva, ma durante l’età dell’oro l’advertising prese a mutare e a rendersi endemico tra strade, vie di comunicazione, financo alle identità culturali (prodotti tanto identitari da definirsi come valori nazionali: Barilla per intendersi).
Se la forma canonica che tutti conosciamo, quella dello storytelling audiovisivo (venuta dall’uno a molti della televisione e della radio) era ancora il simbolo dell’esplosione dei consumi, molte forme traverse hanno continuato a svilupparsi e adattarsi in maniere sempre più endemiche, nel consumo quotidiano. Se da una parte c’è la trasmissione di idee ed emozioni, dall’altra nasce la pervasività dell’azione pubblicitaria nella vita di tutti i giorni.
L’esempio più classico di questa dicotomia è il distacco del Carosello dalla programmazione di contenuti nella Tv italiana degli anni sessanta.
La pubblicità fu ammessa, ma esclusivamente all’interno di uno spazio dedicato: Carosello. Alle aziende che intendevano usufruire di questa nuova opportunità, venne richiesto di gratificare lo spettatore, che si riteneva venisse “disturbato” dalla presenza della pubblicità, con qualcosa che avesse una connotazione spettacolare.
L’operazione pubblicitaria veniva segregata in una cornice per preservare la fruizione del palinsesto. Contemporaneamente a questo idillio, forme sempre più aggressive di posizionamento prendevano forma, e si spinsero tanto oltre da costringere lo stato a imporre (in tempi più recenti) divieti sul product placement nei prodotti audiovisivi.
Carmencita e Caballero, pubblicità cult di Carosello e simbolo del brand italiano Lavazza (trovi qui un articolo sulla storia del marchio di caffè più famoso al mondo).
Distaccandosi dal tema principale per un attimo, Autonomous Sensory Meridian Response (ASMR) è il termine utilizzato nel mondo accademico per definire la condizione percettiva per cui determinati stimoli audiovisivi causano la risposta (con un Trigger) di una sensazione di formicolio tra scalpo e collo e mettono il soggetto che le va a provare, in uno stato di rilassatezza e di positività emozionale.
I trigger sono spesso sociali e in prevalenza di natura intima, calma e familiare.
Questo tipo di produzione è diventata estremamente popolare sui grandi colossi di streaming e videoproduzione come Youtube, Twitch e le loro controparti social orientali (TikTok), e va a soddisfare il bisogno di una società che ha raggiunto un grado di consumo tanto alto da non essere più soddisfatta dal bene materiale o lo status che questo conferisce, ma che invece ha bisogno e cerca di consumare relazioni, e sentirsi in un certo senso legata, anche in maniera digitale, al prossimo.
Posta in questi termini sembra una distopia dettata dall’abnegazione del reale verso il consumo edonista di servizi preimpostati, ma proprio in funzione della sua genuinità (wholesome), una intera generazione sta lottando per l’inclusione e la condivisione di ideali pacifici e condivisi.
Non sorprende dunque che la popolarità del fenomeno abbia portato anche gli investitori a voler legare i propri prodotti o servizi a contenuti tanto virtuosi, e da questo l’ASMR è stato promosso in maniera così virale da diventare popolare non solo tra le nuove e nuovissime generazioni, ma anche sui non più giovani come me, che non subiscono lo stesso reach delle piattaforme social in cui queste produzioni sono nate.
Tirando le somme di una lotta senza quartiere, e tornando alla carica sul focus del tema, quella che si sarebbe in tempi passati definita come l’ennesima fine della storia del consumo, vede la sua grande crisi riassorbita nel sistema di produzione dalle grandi companies, che hanno trovato in questo tipo contenuto un fortissimo possibile nuovo alleato (da ricordare è però che i villani quando diventano buoni passano da sgravatimpazziti a scarsoni senza quartiere, e bisogna monitorare se questo sia il caso).
Sono innumerevoli, infatti, le aziende che hanno tentato un approccio non visuale alla pubblicità per promuovere il proprio prodotto attraverso video ASMR. Non è un caso proprio perché gli stimoli sensoriali non visivi catturino l’attenzione in maniera radicalmente diversa rispetto alle loro controparti in cui il senso dominante è la vista. Questo perché rompono il frame abitudinario e ritualizzato delle forme pubblicitarie precedenti.
Ma il caso studio migliore è il recentissimo podcast della Lego. Non una classica inserzione, quindi, ma un vero e proprio prodotto a contenuto “artistico” in senso lato, ossia, prodotto in ragione di sé prima che verso un apparente scopo (ironico come i profitti di questo tipo di contenuti che saranno comunque immensi).
LEGO WHITE NOISE è un podcast dedicato a coloro che non possono lavorare in completo silenzio e che va a riempire l’attenzione del soggetto fruitore in modo tale che possa concentrarsi nelle sue mansioni. La playlist è composta da sette tracce da 30 minuti, tra cui “It All Clicks”, che presenta due pezzi LEGO che vengono uniti insieme, e “The Waterfall”, che coinvolge i suoni di migliaia di blocchi che vengono versati in una piscina LEGO.
Lego White Noise ASMR di mattoncini su Spotify