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Neuroscienze e selezione: siamo quello che facciamo non sempre quello che diciamo

Marianna Antenucci Pubblicato: 16 Gennaio 2018

neuroscienze e selezione

“… e da lì all’introduzione di come l’emozione può diventare un’utile guida per l’individuazione del talento, ma anche nella gestione delle problematiche, lo sviluppo del potenziale, la negoziazione.”
Ormai è chiaro che l’emozione svolge un ruolo di crescente importanza nel mondo delle risorse umane e non solo. Mi piace pensare, e mi è parso, che il Digital sia andato di pari passo con l’Intelligenza Emotiva, mettendo gradualmente in primo piano l’importanza della persona, la cui valorizzazione e benessere diventano quell’utile spinta motivazionale per la crescita reciproca, aziendale e personale.
E poi è arrivato il momento delle Neuroscienze, (introdotte su Spremute Digitali qui e in quest’altro articolo). Mi piace vederle come quell’”utile ponte” tra Intelligenza Emotiva e Persona; utile all’individuazione del potenziale, delle attitudini, per valorizzare e pianificare un percorso di crescita, per individuare la persona giusta per il contesto giusto.
Da qui, la rilevanza di questa disciplina all’interno della selezione, importante volano dell’individuazione del miglior candidato.
Ma come?

Neuroscienze e selezione: a colloquio con Pasquale Natella – Amministratore delegato di EXS

Una chiacchierata con Pasquale Natella, Amministratore Delegato del gruppo Exs, professore associato presso la SDA Bocconi sui temi di organizzazione e personale.

Q. Cos’è l’intelligenza emotiva e quanto è importante in un processo di selezione?

Pasquale Natella

Pasquale Natella


A. Siamo in un momento storico in cui le innovazioni digitali hanno permesso il proliferare di nuovi paradigmi di business.
Conseguentemente le aziende per rimanere competitive, si trovano a dover avviare un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, organizzativi, culturali e manageriali per mantenere il passo con i tempi.
Dall’altro lato c’è il mondo della selezione, che pur vivendo in questa realtà di repentino cambiamento, pare non riuscire a cogliere a pieno le opportunità che un contesto così dinamico può offrire. Credo sia opportuno trovare un punto di incontro.
Per quel che riguarda la selezione, spesso mi sembra si preferisca trincerarsi dietro la scusa che il nostro è un mestiere fatto di esperienza e relazione.
Non metto in dubbio ciò, è parte della mia attività, ma sono altrettanto convinto che la responsabilità di decidere se un candidato è idoneo per una determinata posizione manageriale, in un determinato contesto organizzativo, non può essere unicamente il frutto delle impressioni a seguito di un colloquio nemmeno troppo strutturato.
Il nostro, è sì un lavoro di relazione ed esperienze, ma è altrettanto un lavoro di osservazione sistematica che deve fare affidamento su diversi fattori e richiede un percorso ben preciso.
Oggi esistono molte metodologie che potrebbero essere introdotte nel processo di selezione dei candidati, utili nel quantificare e comparare skills e competenze rispetto a quelle richieste dalla posizione ricercata.
Perché dovremmo dare spazio a tutto ciò? Perché meglio scegliamo le persone, più felici e motivate lavoreranno (sentendosi perfettamente integrati nella nuova azienda e stimolati dal job); più performeranno e più le aziende saranno produttive. In pratica aiuteremmo il mondo ad essere un posto migliore con più energia e positività.
In EXS nel nostro percorso di ricerca e strutturazione dei migliori percorsi di valutazione, abbiamo avuto modo di appurare il ruolo fondamentale dell’emozione e l’importanza di quel non verbale, che molte volte viene sottovalutato.

Leggi anche E alla fine un’emozione. Ri-conoscere ai tempi della trasformazione digitale


Alla domanda cos’è per me l’intelligenza emotiva e quanto sia importante in un processo di selezione mi sento di rispondere in questo modo:
È una forma di intelligenza che ci permette di entrare in sintonia con il nostro interlocutore, di comprenderne i comportamenti e di analizzarli in un determinato contesto.
In pratica è quella capacità in grado di tradurre in maniera comprensibile le proprie emozioni e quelle dell’altro e metterle in relazione.
Permette un contatto proficuo attivando quel processo empatico che, nel contesto “colloquio” si rivela utile per neutralizzare eventuali distorsioni emotive (stress da colloquio o semplicemente una giornata storta), necessarie per mettere il candidato nella condizione di esprimere il vero “se” personale e manageriale.

Importante: Noi siamo quello che facciamo e non sempre quello che diciamo!

Q. Quindi mi sembra di capire che Neuroscienza e Intelligenza Emotiva, svolgono un ruolo fondamentale in un contesto che vuole essere performante e al passo con i tempi.

A. Per ovvie connessioni il discorso sull’intelligenza emotiva mi porta all’ambito del non verbale e all’importanza dell’espressione emotiva, anche all’interno del contesto di selezione.
Chi seleziona, ovviamente, deve avere l’abilità di riconoscere un’emozione e incasellarla, codificarla quindi per decodificare, ovvero darle un significato.
Se non siamo in grado di valutare le emozioni della persona che racconta, non siamo in grado di giudicarne la coerenza, quindi non siamo in grado di percepirne i valori e drivers motivazionali. Questi ultimi sono indispensabili per valutare il fit del candidato, nel nostro caso del manager, con un nuovo contesto organizzativo.
In EXS abbiamo avuto modo di sperimentare metodologie di osservazione diretta con focus sull’emozione e sulla sua riconoscibilità, per mezzo della decodifica di un’espressione facciale.
Il non verbale diventa un utile veicolo di predittività del comportamento del candidato in un determinato contesto, a patto che, chi seleziona sia in grado di riconoscere un’espressione, decodificarla e darle il plausibile valore motivazionale e valoriale.
L’intelligenza emotiva è alla base di questo processo e ti aiuta a percepire l’emozione del candidato; mentre la giusta formazione e l’allenamento (tramite l’osservazione), ti indicano qual è l’elemento emotivo da prendere in considerazione, quello meno coerente da approfondire.
Quando valutiamo un manager lo valutiamo da 2 punti di vista. A questi punti di vista corrispondono due modelli di DNA, nei quali l’elemento emotivo, così come lo abbiamo descritto fino a questo momento, diventa drivers di valutazione:

  1. Manageriale (DNA della Leadership – analisi di 134 comportamenti);
  2. Personale (DNA della Personalità) costituito da:

Q. Si evolvono gli scenari e con esso anche il ruolo delle Risorse Umane. In questo fermento, come si sta evolvendo la figura dell’HR

A. Noto che la figura del direttore HR sta ri-assumendo un ruolo importante all’interno delle organizzazioni.
In un contesto come quello attuale, il suo ruolo sarà sempre più articolato perché oggi più che mai la vera risorsa scarsa è il tempo, l’energia e il talento. Non più il capitale finanziario.
L’HR deve essere in grado di saper leggere il contesto aziendale e con questo intendo valori, cultura, vision e saperli tradurre in competenze manageriali; senza questa capacità non saprebbe di cosa ha bisogno l’azienda per raggiungere il suo obiettivo di medio-lungo periodo. Deve essere in grado di lavorare per colmare il gap rispetto alla situazione esistente.
Deve occuparsi delle persone con le persone, ascoltare e comunicare nella maniera più efficace valori e modelli di leadership fungibili per l’ottenimento dei risultati aziendali.
Dovrebbe seguire di più la logica del “Fire fast ad Hire slow” per limitare i danni sia organizzativi che economici.
Il perimetro di azione del direttore HR cambia sempre in funzione della leadership espressa dal CEO, e possiamo dire che, è inversamente proporzionale all’attenzione ai risultati (finanziari) di breve.