Future Trends & Tech
Il nuovo Governo in carica guidato da Giorgia Meloni, al di là di qualsiasi altra polemica mossa dall’opposizione, fa già parlare di sé per la mancata conferma del Ministero dell’Innovazione e della Transizione Digitale.
Una scelta che fa storcere il naso e, apparentemente, priva di senso, in controtendenza rispetto all’indirizzo politico dei principali paesi europei e ai dati del mercato, dove il settore dell’innovazione tecnologica cresce del +7,4% nel 2022 secondo Assintel (stimando un trend positivo anche nel 2023).
Ora gli addetti ai lavori temono un rallentamento drastico dell’Italia verso lo sviluppo dell’economia e della società digitale. Un passo falso intollerabile che rischia di generare un gap tra il mercato interno italiano e quello internazionale, con effetti negativi per il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini e soprattutto per le imprese attive nel settore.
Cosa possiamo aspettarci dal futuro dell’innovazione in Italia senza un ministero ad hoc? Proviamo ad analizzare insieme le ragioni di questa scelta e le prospettive relative alla gestione delle sfide della transizione digitale del nostro Paese.
La storia del Ministero dell’Innovazione in Italia è piuttosto altalenante. Istituito per la prima volta nel 2001 e in attività per un decennio pieno, la grande assenza di un ministero specifico per l’innovazione tra il 2011 e il 2018 – dove la gestione pubblica dello sviluppo tecnologico è stata delegata e rimbalzata tra gli altri ministri – è stata in parte colmata con la reintroduzione del dicastero nel 2019, durante il secondo Governo Conte, in seguito rafforzato dall’esecutivo Draghi.
Ma perché il Governo Meloni non lo ha confermato? Difficile individuare le ragioni di questa decisione e comprendere se sia una scelta politica oppure strategica, soprattutto in funzione alla gestione dei fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
A tal proposito, il Piano ha attribuito proprio all’innovazione e alla transizione digitale dell’Italia circa il 27% dei fondi previsti: una quota molto consistente, della quale oggi rimangono in bilico circa 14 miliardi di euro senza la supervisione di alcun ministro designato.
Cosa succederà? L’ormai smantellato Ministero dell’Innovazione nel nuovo Governo troverà collocazione pratica soprattutto presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e il Ministero della Pubblica Amministrazione; è probabile che saranno questi enti a usufruire dei fondi disponibili, ovviamente per riforme destinate a raggiungere gli obiettivi specifici legati alla digitalizzazione.
Ma c’è dell’altro. L’assenza di un ministro ad hoc, di fatto, nel nuovo Governo viene compensata dalla nomina di Alessio Butti in qualità di sottosegretario all’innovazione facente capo direttamente alla Presidenza del Consiglio e raccogliendo effettivamente il testimone che, precedentemente, era stato dei ministri Paola Pisano e poi Vittorio Colao.
Allora, scelta politica o strategica? Forse, la classica via di mezzo, dove prevale la volontà di rafforzare la centralità della Premier nella gestione di temi così rilevanti per il futuro, nonché dare uno “smacco” ai leader politici avversari che l’hanno preceduta nell’ultima legislatura.
Naturalmente, nonostante la perplessità iniziale di molti rispetto a questa opzione, l’auspicio è che il progetto di digitalizzazione pubblica e privata dell’Italia possa procedere efficacemente.
Lo scalpore per la mancata conferma di un organo del Governo specializzato nell’innovazione e nella transizione digitale partono, sostanzialmente, da un punto di vista: in questi anni di grande fervore e sviluppo un Ministero dell’Innovazione serve, soprattutto in un paese come l’Italia.
Perché? Alcune valutazioni valide sono espresse proprio sul portale del Dipartimento per la Trasformazione Digitale, un ramo della Presidenza del Consiglio preposto alla definizione delle politiche e delle strategie in materia. Nello specifico, si legge che la sua attività è ispirata allo sviluppo sostenibile, in senso etico, umano e tecnico, ed è orientata verso:
A questo punto, non sarebbe stato più semplice mantenere attivo il Ministero dell’Innovazione? Indubbiamente, si tratta di uno scenario che avrebbe trasmesso maggiore certezza e fiducia, garantendo la presenza di un ‘cervello’ centrale che si occupasse di questo tema.
D’altro canto, ora l’ipotesi più plausibile è che, con questa nuova forma amministrativa, l’innovazione possa diventare un fattore trasversale con un ruolo centralizzato nel Governo, una costante nelle manovre sviluppate dagli altri ministeri.
Diamo ora uno sguardo ai risultati importanti recentemente ottenuti dalla politica in materia di innovazione, in particolare consultando il report Italia Digitale 2026.
In riferimento specialmente all’agenda politica sviluppata nel biennio 2021/2022, il documento evidenzia che tutti gli obiettivi del PNRR sono stati rispettati. Nel dettaglio:
In linea generale, la scorsa campagna elettorale non ha mai lasciato grande spazio ai temi dell’innovazione e della transizione digitale, a fronte di argomentazioni politiche che, oggi, manifestano un interesse e una presa ben maggiore sui cittadini.
Al di là delle premesse poco incoraggianti, oggi gli stakeholder di settore chiedono al nuovo Governo di portare avanti il buon lavoro fatto finora, investendo con giudizio i tanti miliardi di euro in gioco e gestendo al meglio le sfide che il paese si accinge ad affrontare su questo fronte.
A tal proposito, l’agenda per l’Italia Digitale 2026 suggerisce al nuovo Governo una lista di obiettivi a breve termine da conseguire nell’arco di 6-12 mesi per dare continuità ai progetti del PNRR, riferita al proseguimento delle attività in merito ai punti precedentemente indicati.
Nel report vengono inoltre proposte alcune opportunità da cogliere e sviluppare tra il 2023 e il 2026:
Il risultato desiderato è molto chiaro: completare con successo tutti i punti del piano e posizionarsi per il 2027 come Paese leader in Europa. È davvero possibile riuscirci anche senza il Ministero dell’Innovazione?