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Do you need a space? Intervista ad un neonato marketplace di spazi

Elisabetta Tatì Pubblicato: 7 Dicembre 2017

marketplace di spazi lavorativi privati

Numerosi professionisti, freelance, creativi, consulenti o startupper sono in questo momento alla ricerca di uno spazio in cui lavorare, incontrare clienti, progettare, allestire, conoscere nuove professionalità e, perché no, trarre ispirazione. Sono, in altre parole, alla ricerca di uno spazio materiale nel quale sprigionare, per periodi di tempo più o meno lunghi, la propria forza lavoro.
Alcuni di loro, infatti, si spostano tra città medio-grandi, portando con sé il bagaglio della loro professionalità e creatività, ma approdano spesso in un territorio di cui non conoscono le opportunità. La domanda di spazi cerca l’offerta, ma l’incontro è spesso casuale.

Esiste un mercato degli spazi privati?

In un precedente articolo si evidenziava il problema della scarsità di luoghi fisici a disposizione di giovani artisti e nuove professionalità, spazi ad un prezzo conveniente con caratteristiche ottimali e con buone potenzialità di sinergia. Si era poi affrontato il nodo con riguardo alla possibile offerta di spazi pubblici, attraverso l’analisi della funzione di rigenerazione urbana.
Cosa dire, invece, degli spazi privati, per i quali l’unico fenomeno capace di metterli a sistema, sembra al momento essere il coworking o le reti di coworking?

Il caso. Nidaspace.com, dialogo con il co-funder Gianluca Tumiatti.


L’idea per questo mese è di entrare nel tema grazie ad un’intervista.
Ho incontrato Gianluca Tumiatti, co-funder di nidaspace.com, un neonato marketplace peer to peer per la condivisione di spazi ad uso lavorativo.
Provo in prima persona il servizio, mentre programmo un periodo di lavoro a Milano. Cerco su Google per Nidaspace.com, progetto di cui ero a conoscenza grazie al contatto con la responsabile sales&marketing, Cecilia Braguglia, proprio attraverso Spremute Digitali.
Il tutto è semplice e veloce: cerco cosa mi serve filtrando soprattutto per la categoria di professionalità (scelgo “creativi” perché mi piace essere circondata di professionalità molto diverse dalla mia), e navigo tra l’offerta, entrando in contatto diretto con l’host.
Non è la prima volta che sento parlare di un servizio simile, ossia di un “facilitatore“, come Gianluca definisce la piattaforma nel corso della nostra conversazione, molto utile ai lavoratori pendolari o coworker nomadi. Vincente soprattutto se, come nel caso di Nidaspace.com, punta all’immediatezza, alla qualità e al contatto diretto tra host e utente.
Una generazione 2.0 di agenzia per gli spazi che bypassa il vecchio modello: dalla geometria triangolare (agenzia, host, utente) al facilitatore che non si vede, ma c’è (host-utente; marketplace).

L’incontro tra domanda e offerta di spazi privati: dall’utente-lavoratore…

Nella nostra intervista Skype Roma-Milano, chiedo a Gianluca di descrivere la loro idea di business, già con la mente proiettata alle implicazioni sociali di un simile servizio:

Crediamo in un mercato del lavoro più dinamico e flessibile, al cui centro mettiamo le persone.
Vediamo Internet come un mezzo per riuscirci. La sfida è rivoluzionare il modo in cui gli spazi di lavoro, vengono gestiti e condivisi.
Connettiamo chi ha spazio in eccesso, con chi ne ha bisogno. Nidaspace.com unisce professionisti, creativi, consulenti, startup e PMI per condividere i propri spazi e storie: dove, quando e con chi vogliono.

In effetti, il nome rispecchia perfettamente l’obiettivo. Non solo risponde al primo bisogno di ogni lavoratore/coworker nomade, ovvero, “I need a space”. Risolve poi anche il secondo, “I need a good space”, un posto dove essere accolto, un nido.
La prima descrizione di Gianluca mette sul piatto elementi diversi come il mercato del lavoro, internet e la condivisione. Durante la chiacchierata tutti questi pezzi si sovrapporranno più volte, portandoci dal particolare al generale, dal mercato degli spazi privati, alla sharing economy, dalla condivisione dello spazio materiale a quella dell’immateriale e del digitale.
Mi racconta che l’idea è in cantiere da più di due anni, quando ancora lavorava per una multinazionale, e con un collega pensavano alla quantità di spazio inutilizzato nel loro ambiente; spazio che sul mercato statunitense sarebbe già stato impiegato (mi cita le esperienze di ShareDesk, PivotDesk e LiquidSpace, che si spartiscono il mercato negli Usa).
Ricordando quei tempi, Gianluca ripete la domanda chiave:

C’è bisogno di costruire del nuovo o si tratta di utilizzare l’esistente, l’esistente così com’è per cominciare?

La risposta credo venga da sé, anche senza mettere in mezzo il consumo di suolo, ma Gianluca aggiunge:
G. Noi non chiediamo ai nostri host di modificare necessariamente il loro spazio inutilizzato, va bene anche lasciarlo così com’è. Se ci saranno delle modifiche queste verranno, dopo e forse.
Chiediamo agli host, invece, di dedicare tempo alla descrizione dello spazio, ma soprattutto alla descrizione di loro stessi, così come interagiscono con lo spazio.
Nidaspace vuole lasciare il lavoratore libero di scegliere un luogo in cui si sente accolto: Ognuno è fatto in maniera diversa e per trovare ispirazione, prima che sinergia, il lavoratore deve essere capito e sentirsi accettato.
Quindi forse è meglio partire da lì, scegliere l’ambiente in cui ti senti più a tuo agio.

… All’host-lavoratore: il facilitatore entra ed esce di scena

Nel manifesto di Nidaspace.com rimango colpita dall’affermazione:

Sovvertiamo quindi il paradigma della startup che va nel co-working con il co-working che va nella startup.

Chiedo così un commento a Gianluca, il quale mi risponde con il target:
G. All’inizio pensavamo di rivolgerci ad uno specifico gruppo di lavoratori, in modo particolare le professionalità che si osservano maggiormente nei coworking (designer, grafici, architetti, freelancer, startup, fotografi, ecc.), poi abbiamo percepito una doppia evoluzione.
Innanzitutto, abbiamo capito che tutte le professionalità, anche come conseguenza della crisi di questi ultimi anni, hanno bisogno di un mercato degli spazi, e che quindi il coworking è solo parte di questo potenziale marketplace».
E. E la seconda chiave di volta? Lo incalzo, presa dalla mia impellente necessità di chiarimento.
Mi risponde:
G. Poi, ci siamo resi conto che esiste un’evoluzione nella condivisione degli spazi. In un coworking, ad esempio, nasce una startup.
Ad un certo punto la startup, nella sua strada per diventare impresa, se non ha già un posto in un acceleratore, ha bisogno del suo spazio e si trasferisce. Come fa a sapere quanti metri quadrati gli serviranno?
Direi che è meglio avere spazio in eccesso, dovrà solo impiegarlo, in attesa di utilizzarlo per i suoi scopi. Potrà ospitare nel mentre altre startup o altri lavoratori. Ecco così che il coworking va nelle startup.
Il facilitatore ad un certo punto potrà anche uscire di scena, lì dove l’utilizzo dello spazio diventa stabile e sinergico, o quando l’evoluzione dei vari business porta al rientro dall’eccesso di spazio.

Conclusioni. Valorizzare l’esistente

Nidaspace, dunque, non vuole essere un semplice affitta uffici, ma attraverso la qualità della propria offerta (e attraverso il monitoraggio del gradimento sia di host, sia di utente), vuole fornire un servizio di qualità a più tipi di lavoratori, come i creativi o i professionisti.
In particolare, se proprio occorre categorizzare, i nomadi o le imprese con eccesso di spazi.
C’è posto anche per gli stazionari, se il marketplace sarà in grado di far emergere gli spazi nascosti della provincia, lontani dalle grandi città. D’altra parte, il vantaggio della piattaforma digitale è il superamento del legame con il territorio che, pur sempre centrale, non diventa però vincolante.
Il core business? Il riutilizzo di spazi, valorizzando l’esistente e partendo dal gradino più basso, ovvero la condivisione di ciò che è materiale, attraverso uno strumento digitale e con le potenzialità di generare valore aggiunto immateriale, come lo sviluppo economico.
Abbiamo parlato, così, dello sforzo di mettere a fattore comune una risorsa che sembra scarsa e onerosa, ma che, forse, è solo nascosta. Se il lavoro va trasformandosi e il bisogno primario diventa lo spazio flessibile e a basso costo, allora un “facilitatore” che renda visibile il mercato, è più che mai necessario.
 
[bctt tweet=”Sovvertiamo il paradigma della startup che va nel #coworking, con il coworking che va nella #startup. #Nidaspace ” username=”spremute”]