New Ways of Working

Il legislatore e lo Smart Working. Un altro passo in avanti!

Redazione Spremute Digitali Pubblicato: 10 Febbraio 2016

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Quasi due settimane fa il Consiglio dei ministri si è riunito e ha approvato, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti, un disegno di legge recante misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato. Rimandando il commento sulle disposizioni in termini di lavoro autonomo ad altra sede, è interessante commentare nello specifico le misure di sostegno che il DL prevede per favorire l’articolazione flessibile della prestazione di lavoro subordinato in relazione al tempo e al luogo di svolgimento.
Il provvedimento reca disposizioni in materia di lavoro agile, che consiste non in una nuova tipologia contrattuale, ma in una modalità flessibile di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato quanto ai luoghi e ai tempi di lavoro. Tale modalità è finalizzata a regolare forme innovative di organizzazione del lavoro, agevolando così la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
La definizione di lavoro agile come modalità flessibile di svolgimento del lavoro è corretta. Poi però viene data una chiave di lettura in parte sbagliata: il lavoro agile consiste in una prestazione di lavoro subordinato che può essere eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Modalità flessibile o prestazione di lavoro? Direi senza ombra di dubbio la prima. La prestazione di lavoro subordinato non cambia a seconda che sia svolta dentro o fuori i locali aziendali. Ciò che cambia è il modo (la modalità) con cui effettuo tale prestazione. Definire il lavoro agile come un tipo di prestazione non fa altro che complicare una realtà fin troppo semplice: a cambiare non è la prestazione nei confronti del datore di lavoro, ma solo il modo in cui verrà svolta (in ufficio, dal parco, da casa o dal co-working).
Nel DL si legge che questa “prestazione” si realizza soddisfacendo le seguenti condizioni:
– il lavoratore che presta l’attività di lavoro subordinato in modalità agile ha diritto di ricevere un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda;
– gli incentivi di carattere fiscale e contributivo, eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato, sono applicati anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile;
– il datore di lavoro garantisce al lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza.
L’intento del legislatore sembra essere quello di trasformare il lavoro agile in una alternativa al telelavoro, con caratteristiche di maggiore flessibilità e minore rigidità normativa. Infatti, da un lato si vuole facilitare il datore di lavoro da un punto di vista organizzativo attraverso anche una riduzione dei costi; dall’altro, si vuole assicurare al lavoratore la possibilità di conciliare i tempi di vita fuori e dentro il luogo di lavoro, sulla base di una cultura aziendale impostata su merito e raggiungimento degli obiettivi.
Cerchiamo di valutare gli aspetti comuni e diversi tra telelavoro e lavoro agile:

1. Accordo tra le parti.

Entrambe le forme prevedono la volontarietà del worker e del suo datore di lavoro (o del suo manager). Questa è una di quelle caratteristiche che ci fa capire come il lavoro agile non possa essere per definizione una prestazione di lavoro: io worker, d’accordo con il mio manager, posso scegliere come svolgere il mio lavoro (ma la prestazione non cambia).

2. Trattamento paritario.

Anche qui per entrambe le forme si prevede parità di trattamento sia per il tele-lavoratore che per il lavoratore agile in termini economici e normativi.

3. Protezione e utilizzo dei dati.

Questa è la prima differenza: nella forma di telelavoro le norme sono più rigide che nella forma di Smart Working. Nel primo caso, il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare misure consone alla protezione dei dati in uso al tele-lavoratore e di informare quest’ultimo. Nel secondo, l’adozione di misure di sicurezza è condivisa da entrambe le parti: da un lato il datore di lavoro mette a disposizione la tecnologia, dall’altro il worker deve averne cura ed assicurarsi del loro funzionamento ma può anche disporre di strumenti propri.

4. Sicurezza sul lavoro.

Anche qui notiamo alcune differenze. Se per il telelavoro sono previsti obblighi ben definiti in capo al datore di lavoro, in qualità di “responsabile della tutela della salute e della sicurezza professionale del tele-lavoratore”, per il lavoro agile invece gli obblighi di quest’ultimo vengono delimitati al settore dell’informativa, la quale deve specificare i rischi correlati allo svolgimento dell’attività. Da parte sua, il lavoratore agile deve collaborare all’attuazione delle misure di prevenzione disposte dallo stesso datore di lavoro. La copertura assicurativa è ovviamente garantita anche al lavoratore agile, sia durante il percorso verso il luogo di lavoro stabilito al di fuori dei locali aziendali che durante lo svolgimento del lavoro, ove i diversi luoghi di lavoro siano stati oggetto di accordo tra le parti.
Certamente questo Disegno di Legge si muove nella giusta direzione. Il concetto di Smart Working e di lavoro agile sembra essere più chiaro a livello teorico, ma necessitiamo di esperienze empiriche per poter aggiustare il tiro. Un esempio chiaro di aggiustamenti che verranno nel tempo riguarda l’accesso al lavoro agile. Al momento tali accordi sono regolati in modo eccessivo: a tempo determinato o indeterminato, recesso con preavviso di 30 giorni, etc. Insomma sono veri e proprio contratti tra datore di lavoro e worker. All’estero, invece, il lavoro agile è divenuto prassi consolidata non solo nei modi ma soprattutto nella cultura, al punto che è dato per scontato. Non ci lamentiamo e guardiamo con fiducia allo sviluppo dello Smart Working nella mentalità italiana.
Eventualmente, una volta abituati, anche da noi il buon senso e la buona fede ci permetterà di regolare il lavoro agile con poche e semplici regole.
Smartworking, lavoro agile
Articolo di Alberto Rossini -> Profilo linkedin