Marketing & Communication

L’app che ci rende tutti “immuni”. Non dalle critiche

Gianluigi Cacciotti Pubblicato: 3 Giugno 2020

immuni

Italia. Primo giorno di apertura dei confini e futuro incerto sui dati del contagio da Coronavirus. C’è chi non ha ancora ripristinato la foto profilo dal #blacktuesday che già una nuova lotta per i diritti si abbatte sui social.
L’app immuni, già scaricata da oltre mezzo milione di persone, presenta in una delle sue grafiche una quotidianità che infastidisce: una donna con in mano un neonato e l’uomo al pc.
“Immagine del passato”
“Grave ritorno al medioevo”
“Anni di lotte per la parità ormai buttate”
L’esegesi sociologica del misfatto vuole insomma che ci si convinca che un’app, già colpevole di rubarci dati, megabyte dello smartphone, soldi pubblici e libertà di spostamento, sia anche rea di promuovere immagini anacronistiche di donna casalinga, quale contrappunto al maschio lavoratore e realizzato. Non certo la migliore delle partenze.
Ed ecco partire subito le invettive, ancora fresche di sdegno social(e) made in Usa, riassumibili in questo tweet:
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Le critiche da cui non siamo Immuni

Da qui la ramificazione di pensiero: c’è chi lo reputa uno scivolone. Chi cerca di minimizzarne la portata sottolineando gli intenti tutt’altro che offensivi. C’è chi invece va oltre, chiedendosi quali siano i nuovi confini entro cui ci si può muovere per descrivere la società attuale.
Se infatti dovessimo farne una battaglia di rappresentanza allora dovremmo coinvolgere le numerose altre concezioni di famiglia, moltiplicando poi il tutto sia per le varianti di genere che per le componenti numeriche.
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Neanche il tempo di lasciarsi trasportare che ecco arrivare la “risposta” degli sviluppatori, capace di rimettere tutto in gioco invertendo le immagini. Ora è la donna davanti al pc e il padre a cullare il/la neonato/a. Ogni dubbio sull’intenzionalità discriminatoria è ormai svanito e, anche le fronde più coriacee, sembrano arrendersi alla nuova normalità: le due immagini sono perfettamente intercambiabili.
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Non che non ci sia spazio per la libertà di espressione di ognuno, ma forse i social e la stessa app di Immuni non sono il giusto palco per alcune rivendicazioni importanti. Alcune di queste battaglie sono già combattute nel silenzio (e nell’infausta complicità della quarantena) di chi riesce a condividere doveri neo-genitoriali senza delegare specifici compiti alla mamma o al papà.
Alcune di queste guerre per un’indubbia parità di compenso a fronte di una parità di competenze dovrebbero renderci compatti e farci indignare alla sola menzione, visto che viviamo nel 2020 e dovrebbero essere un pre-requisito di ogni contesto civile e professionale.
La silente risposta degli sviluppatori ha dimostrato che la vicinanza (espressa rigorosamente tramite social) per alcune argomentazioni finisca per diventare sovrapposizione e sovraesposizione. Come prima battaglia dovremmo tornare a ponderare bene le nostre parole, salvaguardando i nostri stessi silenzi. Sforzarci di capire se, le nostre parole urlate dalla comodità di una poltrona e dall’anonimato di uno schermo, non finiscano per contrapporsi all’intento comunicativo che le ha generate.
Non è dunque la grafica di Immuni a farci fare un balzo indietro, ma il fanatismo di voler sempre esprimere la propria opinione, contestando ogni accenno o descrizione di quotidianità. Qualunque essa sia.