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Lavazza, qualità e gusto

Riccardo Malaspina Pubblicato: 31 Dicembre 2020

lavazza

“Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è”. Nino Manfredi, Tormentone intramontabile.
Tenendo fortemente in considerazione il periodo delle feste e la necessaria spinta digestiva per un felice ritorno a una dieta di stringente contrizione, sotto i riflettori di oggi ci sarà l’azienda progenitrice di uno dei prodotti più amati dagli italiani. Si, ecco, gli attori romani nelle pubblicità del caffè. Alla Lavazza si deve, infatti, l’inizio della lunga tradizione nostrana di promuovere la incredibile miscela attraverso l’utilizzo di toni ruvidi e bonaccioni.
Fine.
Data la necessità collettiva di prendersi una pausa durante il periodo di Natale, l’insight di oggi sarebbe dovuto finire così, invece, come regalo alla perseveranza, la mattonata arriverà ugualmente; come augurio della fine di questo anno.
Perché però? Per citare una nota marca rivale, come ben si sa, “Perché a me, me piace”.

Cenni storici.

La storia aziendale della Lavazza comincia nel 1895 con la drogheria di Luigi, fondatore, a Torino.
Se il negozio era la tipica bottega a conduzione familiare, l’uomo era di una passione incredibile nella ricerca e nell’inventiva. Grazie ai suoi viaggi è stato in grado di riconoscere l’incredibile potenzialità della bevanda e fu il primo, in Italia a sperimentare l’uso canonizzato di miscele per soddisfare i propri clienti.
Alla base del suo successo, che lo porterà, nel 1927 a fondare la Lavazza Spa e a estendersi su tutto il territorio della provincia piemontese, c’è la cura maniacale nella conoscenza del suo prodotto, dei sapori, del piacere che porta. Arrivando nella fattispecie, a cambiare il packaging più volte per assicurarsi il mantenimento di determinate proprietà organolettiche in maniera duratura, anche se questo fosse acquistato in quantità maggiori.
Se può sembrare strano poi, che un prodotto semplice come il caffè sia stata la base di una delle aziende d’innovazione più importante del suo tempo, ma basta pensare a come lo standard qualitativo che abbiamo oggi venga quasi ed esclusivamente dall’idea di produrre in maniera industriale le miscele e possiamo renderci conto di come un prodotto di nicchia sia diventato endemico nella cultura italiana, indispensabile. 
La più grande rivoluzione avviene però con l’utilizzo pubblicitario della Televisione.
Con la prima forma di diffusione di massa l’azienda si è dimostrata una delle più capaci pioniere dei caroselli e delle forme di promozione. Lo storytelling delle pubblicità antiche, sono state la prima grande rivoluzione del mondo delle reclame, e la Lavazza ne è stata protagonista fino in fondo. 
L’idea era quella di creare, prima di tutto una storia. Lo spettatore doveva appassionarsi a una breve, piccola fiaba. 
Questa formula nel corso degli anni è cambiata secondo il medium ma è sempre rimasta uno dei capisaldi del successo della ormai società industriale, che mantenendosi sulla linea del piacere domestico non ha comunque rinunciato a una gran spinta innovativa tanto che negli anni novanta ebbe e superò le difficoltà, nel promuovere le macchine a cialde, proprio per colpa della stessa narrazione che sono riusciti a trasmettere sul caffè inseparabile dalla macchinetta in ghisa che tutti noi a casa abbiamo.

Lavazza e le lezioni di Business

Digerito lo spiegone Storico, ora però è importante ricordarsi la morale, ecco, però ora mi dica la morale, suvvia.

-E no la morale non è che a Lavazza non je dovete da …-
Sorvoliamo.
La morale è che l’azienda torinese non è stata soltanto un prodigio della mera tecnica industriale. Fu un connubio di dedizione, intuizione e perché no’ un pizzico di speranza. 
Il primo degli insegnamenti è quindi l’intuizione.
Oggi come allora, alla base di una grande azienda c’è sempre una idea, che sia di business, un oggetto o più sottilmente un desiderio di benessere non importa, tutto nasce da una Mission, un obbiettivo. 
Il secondo, che lo segue a ruota, è la dedizione.
Luigi Lavazza, per arrivare a vedere le potenzialità del suo prodotto: ha viaggiato, ha sperimentato ed è stato ore ogni giorno nel laboratorio a cercare di soddisfare il proprio personale obbiettivo, tanto da averne fatto una ragione di ricerca continua e inesauribile.
Per quanto telefonate, le prime due sono massime che vanno sempre ricordate.
Dal terzo insegnamento in poi bisogna raccontare.
L’ambiente, per l’appunto, è la più grande delle peculiarità dell’azienda durante la gestione del secondo dopoguerra. Il figlio di Luigi, Giuseppe, ha condiviso gran parte della sua vita con le avanguardie intellettuali ed è riuscito a tessere, con i circoli degli artisti della Torino dell’epoca rapporti a doppia mandata. Scelse di promuovere, da una parte, il suo prodotto attraverso la collaborazione con artisti, scrittori poeti, andando a creare un album di figurine collezionabili che racchiudessero in compendio la maggior parte degli artisti consolidati del tempo, allo stesso tempo a questi rendeva il favore portandoli alla ribalta ad un pubblico immensamente più ampio dell’alta borghesia delle avanguardie del dopoguerra. Dall’altra creava un ecosistema in cui la sua bevanda diventava il simbolo della discussione intellettuale, della convivialità, senza mai renderla invadente. Il caffè era presente in tutte le rappresentazioni, le letture, le esposizioni del tempo, mai di troppo ma sempre una certezza. Coltivare il proprio ambiente. quindi è far fiorire il suo prodotto.
Si dice poi che il Papa Clemente VIII, dopo aver assaggiato una tazza di caffè, disse “Questa bevanda è così deliziosa che sarebbe un peccato lasciarla bere ai soli miscredenti. Sconfiggiamo Satana impartendole la benedizione per farne una bevanda veramente cristiana”.
Da quel momento la svolta fu chiara. Il caffè era la certezza di milioni. Non per il valore religioso, si intende, ma per lo status che le si conferiva a livello sociale. L’ecosistema stesso cominciava a desiderarlo. Il caffè era di tutti e per tutti. Segno del benessere e dal sapore sempre uguale.
Infine, abbiamo, lo già accennato Storytelling.
Se come si è visto il caffè è diventato, non solo comune, ma una necessità, non si può dire lo stesso delle storie che lo vedono partecipe. A partire dai primi caroselli della Lavazza, che debutta nel 1965 con Caballero e Carmencita, (https://www.youtube.com/watch?v=baIp2AmJuSM&feature=emb_title) lo sviluppo delle storie rende giustizia all’idea del moderno storytelling, per il quale non esiste solo il brand da mettere in bella mostra, ma lo si associa ad un Universo narrativo di volta in volta coerente, che in alcuni casi lo vede coinvolto, i primi e che poi col tempo permette una associazione automatica, senza necessità di farne espressa menzione.
Principio per il quale, poi, la serie di spot che vedeva protagonisti Nino Manfredi, e Riccardo Garrone, proponeva tormentoni ricorrenti in grado di essere completati, come call to action nella mente degli spettatori. Questi venivano inclusi come necessari dallo script, che li lasciava proseguire autonomamente agli spettatori mentre la narrazione continuava, e alla fine, come il caffè portava alla certezza. L’ultimo bossolo del commediografo. Sempre più autoreferenziale, ma che: “più va giù, e più te tira su.”
Come disse un tale in un film sulla pallannuoto, le parole sono importanti. (e anche le immagini aggiungerei).
Cosa faresti, infine, se dicessi che l’ultimo insegnamento è la speranza? E se fosse un Augurio di buon nuovo anno? La ripresa la si può immaginare come dopo un buon caffè? Faccelo sapere.