Personal Empowerment

Hikikomori, un’epidemia silenziosa

Redazione Spremute Digitali Pubblicato: 23 Aprile 2021

Hikikomori, un disagio sociale che porta le persone ad isolarsi dalla società fino al punto di rinchiudersi in casa per mesi se non per anni. Un’epidemia silenziosa che solo in Giappone conta oltre un milione di casi e che, sfortunatamente, sta dilagando nel resto del mondo.

Ma chi sono gli Hikikomori?

Di solito hanno tra i 14 e i 30 anni, non studiano, non lavorano, non hanno amici e trascorrono gran parte del loro tempo chiusi in camera, senza parlare con genitori e parenti.

Vivono di notte, generalmente, per non avere contatti con l’esterno. L’unico mezzo di comunicazione con il mondo al di fuori sono i social network e i giochi on-line dove utilizzano nomi fittizi e di fantasia.

Il nome deriva dal giapponese che significa letteralmente “stare in disparte”, ed è proprio questo il punto, lo stare in disparte da tutto il resto.

In Italia si parla di un fenomeno ancora relativamente giovane che conta intorno alle 100mila unità, numero che se non si correrà ai ripari al più presto potrebbe raddoppiare se non triplicare in tempi brevi.

Secondo gli esperti si parla di un male che “affligge le economie sviluppate” e le eccessive aspettative da parte di un sistema sociale sempre più competitivo, a livello scolastico e lavorativo, da cui i giovani decidono di auto-isolarsi e vivere in disparte, appunto.

Le associazioni, italiane e internazionali, da anni stanno cercando di sensibilizzare le persone nei confronti di un disagio psichico forte che molto spesso viene denigrato come mancanza di iniziative per le nuove generazioni o, troppo spesso, come inettitudine.

Le associazioni però, per quanto una componente fondamentale, non possono fare molto senza l’appoggio della politica che, però, negli ultimi anni ha sempre più spesso definito in malo modo i giovani come “bamboccioni” o “schizzinosi” nei confronti del lavoro o della vita lontano dai genitori. Un modo decisamente errato di definire un problema grave che potrebbe gravare, oggi come in futuro, su migliaia di ragazzi abbandonati a se stessi e senza alcuna prospettiva per il futuro.

Ma se la politica tende a non capire la portata del problema la situazione non è migliore dal punto di vista medico che spesso descrive il fenomeno come “sindrome culturale giapponese”. Così facendo a una certa confusione in ambito diagnostico e di classificazione si rischia anche di sottovalutare la minaccia di questo disagio che sembra, così, esclusiva di altri paesi e altre culture diverse dalla nostra.

In molti casi, inoltre, la cosa viene confusa con sindromi depressive o semplicemente liquidata come “dipendenza da internet o dai videogames”. Come barbara soluzione a una diagnosi ancora più barbara, molto spesso vengono tolti a questi ragazzi i dispositivi elettronici, portandoli a un isolamento ancora più estremo che, in molti casi, può essere loro fatale.

Hikikomori, quali sono i campanelli d’allarme?

Ovviamente non è che si diventa Hikikomori dall’oggi al domani, ci sono delle situazioni che fanno scaturire il disagio ma non sono facilmente riconoscibili.

La scuola, ad esempio, è un luogo che potrebbe causare molta sofferenza e una buona parte degli Hikikomori inizia ad isolarsi dal mondo proprio nel periodo scolastico.

E molto spesso è proprio a scuola che hanno luogo gli eventi traumatici che portano i ragazzi ad isolarsi: episodi di bullismo, problemi nelle relazioni con i compagni, andamento scolastico incerto. Insomma, sono molti i campanelli d’allarme da tenere in considerazione e, soprattutto, da individuare tempestivamente anche con l’aiuto di professionisti.

Una persona fragile, in un contesto difficile, può reagire in milioni di modi a ciò che si trova a vivere. Ciò che può sembrare innocuo per le altre persone, per qualcuno può essere fonte di disagio e di dolore. Sono cose da tenere sempre bene a mente e da non sottovalutare mai.

Comunque tra gli altri campanelli d’allarme da tenere sotto controllo c’è la perdita di giorni di scuola con scusa di qualsiasi natura. Il ragazzo tenderà poi ad abbandonare tutte quelle attività extrascolastiche e le amici, iniziando un processo che lo porterà gradualmente all’auto-isolamento e a un graduale allontanamento dalle persone. A questo molto spesso viene associato un consumo smodato di videogiochi, tv e internet, che chiaramente non sono la causa del problema ma un modo per vivere.

È fondamentale che gli interventi di qualsiasi natura partano da questi primi campanelli d’allarme. Ovviamente sono fondamentali in questa prima fase la famiglia, gli insegnanti e gli amici che devono indagare il disagio e chiedere aiuto agli esperti del settore per cercare di arrivare a una fase più critica che poi richiederebbe cure e un supporto più lungo nel tempo.

Hikijomori Italia ha individuato più nello specifico le cause di questo disagio e le riporta in uno schema piuttosto chiaro:

L’associazione Hikikomori Italia nasce con lo scopo di informare e sensibilizzare le persone circa questo fenomeno. Come dice la stessa associazione, lo scopo è capire e non curare, affrontare il problema senza stigmatizzarlo e senza giudicare. Questo può essere un primo modo di approcciarsi alla cosa senza indicare queste persone come “malate”.

Altro scopo dell’associazione è quello di dare ai ragazzi italiani e ai genitori

Un secondo obiettivo, di non trascurabile importanza, è quello di fornire ai ragazzi italiani e ai genitori uno spazio dove poter fare domande, dove potersi confrontare e ricevere aiuto e supporto psicologico da parte di esperti del settore.

Per tutte le altre informazioni o domandi sul fenomeno degli Hikikomori vi invitiamo a visitare il blog che contiene molto materiale sull’argomento.

Perchè l’Italia e perché il Giappone?

Culturalmente il Giappone è legato a una serie di di fattori che hanno portato a un aumento del fenomeno sin dagli anni ‘80.

Un sistema scolastico competitivo, il mondo del lavoro estenuante e con aspettative altissime soprattutto per i maschi e una cultura che fa dell’eccellenza e della “riuscita” nella vita uno dei suoi fattori principali.

Non sorprende quindi che a fronte di tutto questo il giappone possa già contare almeno due generazioni di Hikikomori.

Per quanto riguarda l’Italia, il contesto è ovviamente molto diverso. Molti individuano la causa dell’aumento di questo problema nel calo delle nascite che hanno portato a una generazione di figli unici che si sono ritrovati sulle spalle la pressione dei genitori. A questo bisogna aggiungere poi la crisi economica che da diversi anni a questa parte rende più difficoltoso per i giovani l’ingresso nel mondo del lavoro e il trovare una propria dimensione al di fuori del nucleo familiare.

L’arrivo dei social e un uso massiccio delle immagini ha permesso, poi, la diffusione di modelli di vita estremamente lontani dalla normalità che hanno portato i giovani a non sentirsi abbastanza. Ovviamente non si vuole dare la colpa ai social o agli influencer, si vuole soltanto sottolineare il fatto che essere bombardati di continuo da immagini di modelli di vita estremamente diversi dalla “normalità” può portare le persone più fragili a fare dei paragoni sbagliati che possono avere conseguenze sul loro benessere psico-fisico.

Tutte queste considerazioni nascono alla luce di studi di settore che però non hanno ancora attestazioni cliniche come succede per tutte le altre patologie.

Come già detto, stiamo parlando di un disagio sociale subdolo, nascosto dietro un muro di silenzio e, spesso, di indifferenza che non è facile abbattere. Come non è facile identificare i sintomi del disagio se non cercando di prestare attenzione a tutti quei campanelli d’allarme che abbiamo descritto prima che possono fornire indicazioni preziose sulle persone che abbiamo vicino.

Quindi, perché l’Italia e perché il Giappone? I motivi possono essere quelli appena elencati oppure, più semplicemente, in questi paesi il tema viene affrontato e non ignorato come, invece, potrebbe avvenire altrove.

L’unica certezza, comunque, è quella di trovarsi davanti a un fenomeno che ogni anno porta migliaia e migliaia di ragazzi ad abbandonare la propria vita e a rinchiudersi in camera, senza avere più contatti con il mondo esterno o con i propri familiari.

Un fenomeno in crescita, certo, ma ancora individuabile e contrastabile, soprattutto grazie all’aiuto di esperti del settore, degli insegnanti che possono dare un grande supporto ai ragazzi e alle loro famiglie nel momento del bisogno.

C’è bisogno del confronto e del cercare di arrivare al fulcro del problema in maniera costruttiva e sana, senza pregiudizi e senza cercare le colpe in questo o quell’altro fattore.

È una battaglia complicata ma con gli strumenti giusti si può superare per cercare, gradualmente, di tornare alla vita di tutti i giorni.