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Il Fuorisalone affronta il tema lavoro tra bellezza, integrazione e futuro

Valeria Farina Pubblicato: 20 Aprile 2019

fuorisalone lavoro

A metà Aprile Milano è diventata il teatro del Fuorisalone 2019. La città si è riempita di turisti, ha aperto i cortili delle case e i palazzi più antichi per ospitare mostre e installazioni arrivate da ogni parte del globo.
Io, da appassionata e curiosa, ne ho girato una gran parte facendomi catturare dalla bellezza dell’arte, dall’atmosfera cosmopolita delle strade e dalle tante possibilità di arricchimento che la città mi ha offerto in quelle giornate.
Il tutto provando a seguire un unico filo conduttore: il tema “lavoro che in questo Fuorisalone ho trovato disseminato in varie forme e che, per me, è sempre fonte di grande interesse.
 

Il tema lavoro visto dal Fuorisalone 2019

In un cortile di via Novi, in piena zona Tortona, ha preso vita Sartoria Migrante, un progetto di contaminazione, che unisce temi forti del lavoro quali la formazione, l’integrazione, la diversity e l’artigianalità.
Il progetto porta la firma di Connecting Cultures: un’agenzia di ricerca no profit che promuove la sostenibilità nell’ambito delle arti visive e del design.
Sartoria Migrante è nata con un obiettivo tanto nobile quanto complesso, soprattutto in questo momento socioeconomico: valorizzare e potenziare il patrimonio di conoscenze e abilità possedute dalle persone che giungono in Italia.
A rendere ancora più complesso il tema si aggiunge anche un contributo in termini ambientali, visto che i materiali utilizzati sono tutti di riuso.
Durante il Fuorisalone ho ammirato il loro progetto “Please, sit” della designer e artista Denise Bonapace.

Dieci uomini e donne, di varie età e provenienza, hanno lavorato assieme per realizzare 20 sedie attraverso il recupero di vecchie sedute, lavorate con le tecniche che fanno parte della loro storia e cultura.
Ammirando le sedie si poteva ascoltarne e vederne la storia in un video-racconto proiettato a parete.
Sono rimasta particolarmente colpita dalle parole di una ragazza del Marocco che ha scelto di lavorare la sua sedia con una tecnica di ricamo imparata dalla nonna, un metodo della tradizione che si rifà alla preparazione del corredo nuziale.
È bello sapere che certe usanze non solo si possono preservare, ma possono anche trasformarsi in qualcosa che evolve e diventa parte delle generazioni future.

Interessanti iniziative sul tema donne e lavoro

Sul tema “donne e lavoro”, ho trovato molto interessante l’iniziativa di Caffè Vergnano: womenincoffee
Nella Repubblica Dominicana il 35% dei piccoli produttori è costituito da donne che non ricevono supporto economico per la loro attività.
Caffè Vergnano ha pensato, così, a una raccolta fondi per sostenere l’avvio di una micro torrefazione gestita da una comunità di 20 di loro.
Per raccogliere questi fondi è stata pensata una collezione speciale composta – per ora – da tazzine, moka e latte di caffè, al cui acquisto corrisponde un versamento per finanziare il progetto.
Una strada intelligente per promuovere un prodotto e, allo stesso tempo, sostenere situazioni difficili di chi è meno fortunato.

Riflessioni sul lavoro, tra passato e sguardo al futuro

Sulle condizioni di lavoro, ho trovato interessante il messaggio che Ibrahim Mahama ha voluto passare attraverso l’opera A Friend in Porta Venezia.
I sacchi di Mahama – si legge – racchiudono anche un significato nascosto che riguarda la forza lavoro che si cela dietro la circolazione internazionale delle merci.
Il sacco di juta racconta delle mani che l’hanno sollevato, dei prodotti che ha portato con sé, tra porti, magazzini, mercati e città. Le condizioni delle persone vi restano imprigionate. E lo stesso accade ai luoghi che attraversa.
A stridere quasi con certe riflessioni c’erano anche accenni di sguardo sul futuro.
Come Hidden Senses, pensata da Sony, un percorso in varie sale che permettevano una riflessione sui modi inattesi e inimmaginabili con cui sarà possibile interagire con i robot arrivando a costruire interazione e rapporti comunitari.
 
E a far da ponte tra passato, presente e futuro, lo splendido spazio di Elle Decor a Palazzo Bovara in cui mi sono letteralmente persa tra pensieri e ispirazioni: The evolution of workspace.
Bellissima la timeline che, partendo dagli anni ’50 arriva ai giorni nostri e ci mostra come il modo di lavorare sia cambiato ed evoluto, passando dall’analogico al digitale, occupando spazi sempre più piccoli e facendosi sempre più “su misura”.
In questa mostra si evidenzia come il concetto di smart working sia ormai evoluto in quello di healthy working in cui la tecnologia non è solo al servizio delle persone, ma diventa uno strumento di rilevazione dati il cui scopo sia garantire il benessere del lavoratore.
Abbattendo il binomio per cui stare alla scrivania significa essere produttivi gli spazi si contaminano: e non si ragiona più in aree dedicate al lavoro e aree dedicate al relax, ma ciascuno arriva a scegliere il contesto in cui si sente più predisposto e creativo.
L’attenzione all’individualità permette la vera contaminazione: anche lo spazio coworking perde la logica di una struttura imposta a priori, e valorizza le diversità e le esigenze di ciascuno, aprendosi allo scambio e alla condivisione.
Le scrivanie si adattano a chi le utilizza, i divani diventano luoghi da cui scrivere, anche gli spazi dedicati ai meeting diventano “su misura”. Da semplici aree informali che assomigliano al salotto di casa, a spazi iper-futuristici dove, indossando i visori per la realtà virtuale si potrà agire grazie ad avatar che abbattono le barriere di distanza e presenza fisica.
E poi spazi aperti, tanto verde, materiali sostenibili, caffè veri e propri che sostituiscono le macchinette automatiche, la mensa che diventa spazio multifunzionale…
 
Trovo significativo che una piazza come il Fuorisalone, che si dedica a bellezza, innovazione e sperimentazione, abbia dedicato tanto spazio al tema lavoro. Che, evidentemente, tra messaggi di attenzione, solidarietà e speranza, non smette di evolvere.