New Ways of Working
Ecco! Finalmente l’ho fatto! In tanti mi hanno chiesto di scrivere un articolo che riassumesse i principali errori legati a un progetto Smart Working. Mi sono sempre rifiutato perché, in realtà, non è assolutamente facile. Direi anche un po’ presuntuoso. Essendo un tema in rapida evoluzione e non esistendo un approccio unico e standard, diventa complicato dire cosa sia giusto e cosa no.
Tuttavia, siccome ho notato il ripetersi di alcune “cattive abitudini”, alla fine ho ceduto. Provo a raccogliere i principali errori di valutazione che si sono presentati più volte in molteplici dibattiti, innumerevoli meeting e in tante storie di dipendenti e manager durante la mia esperienza con lo Smart Working.
L’unico scopo di questo contributo è attenzionare coloro che sono in procinto di lanciare un progetto Smart Working i quali, devono esser infinitamente grati alle aziende che per prime hanno sperimentato lo Smart Working. Senza di esse (e senza i loro errori) non sarebbe stato possibile:
Iniziamo. Ecco 7 trappole da evitare.
Eccolo. Un classico! Considerare lo Smart Working come un affare esclusivo HR è forse l’errore più comune.
L’implementazione dello Smart Working non può e non deve essere un obiettivo del Responsabile HR che, da un giorno all’altro, deve rimboccarsi le maniche e dar seguito alla email ricevuta dal suo CEO in cui il succo (sinteticamente e ironicamente) era:
“Dobbiamo fa ’sto Smart Working. Pensaci tu!”.
Lo Smart Working è – prima di tutto – un progetto di cambiamento organizzativo ambizioso che impatta trasversalmente su più dimensioni (persone, tecnologie e spazi) e deve esser gestito con la giusta attenzione, cioè la massima.
Non può essere il solo Direttore HR o, tanto meno, il Responsabile Formazione a governare questo percorso: seppur rappresentano le figure più “vicine” alle persone, hanno una parziale visione dell’intera organizzazione.
Non definire chiaramente il concetto Smart Working e non rendere consapevoli tutti (in primis il top management) sul nuovo paradigma di lavoro è un errore fin troppo comune. Perché dare per scontato quello che in realtà potrebbe esser altamente frainteso?
Purtroppo c’è tanta confusione dietro la parola Smart Working e sempre più improbabili e improvvisati professionisti e giornalisti scrivono valanghe di fesserie interpretando il concetto in maniera errata. Ciò non fa altro che alimentare un apprendimento distorto e parziale da parte delle persone che, a loro volta, hanno poca voglia e tempo nell’approfondire l’argomento, fermandosi a un primo e superficiale studio.
Investire del tempo per allineare tutti sul concetto Smart Working è cosa saggia, non trovi?
Ma dico io: “Perché partire dalla fine?”
Come diceva il mio ex capo quando provavo subito a dare la soluzione ai problemi dei clienti: “non arrivare subito all’assassino. leggi prima il libro!”.
Dare sin da subito l’opportunità di lavorare al di fuori degli uffici (per non dire da casa) è pura follia. Soprattutto per quelle aziende che, fino a ieri, hanno lavorato con un paradigma tradizionale basato su controllo della presenza e gestione del tempo.
Prima di arrivare al lavoro da remoto bisogna accompagnare le persone a costruire relazioni basate sulla fiducia, a lavorare per obiettivi, a gestire le persone da remoto, ad adattarsi ai vari contesti mutevoli, a prendere dimestichezza e confidenza con le tecnologie digitali e bla bla bla. C’è tanta strada da fare…
Il fai da te non è per tutti. Fino a quando dobbiamo montare un Billy (libreria Ikea) il risultato che venga perfetto è legato a quanto attenti siamo stati nel seguire le istruzioni.
Se, invece, dobbiamo montare un Pax (guardaroba Ikea) a più ante con cassetti, specchi e altro la questione diventa un po’ più complicata, soprattutto se abbiamo solo cacciavite e martello.
Ecco, il Pax è lo Smart Working.
Come può uno stagista o anche uno dell’Ufficio Personale (vedi punto 1) avere da solo una visione completa sull’organizzazione, sull’evoluzione dei modelli organizzativi, sui trend di mercato e delle tecnologie emergenti e sul concetto Smart Working?
Difficile trovarlo e – se ce l’hai – tienitelo stretto. La questione è molto semplice: ciò che fanno gli altri può esser solo fonte di ispirazione e non una best practice da introdurre nell’organizzazione.
Quello che ha funzionato da una parte, è molto probabile che non possa funzionare nella tua organizzazione perché le persone sono diverse, la cultura e le abitudini sono diverse, le tecnologie adottate sono diverse, gli spazi sono diversi, il business è diverso.
Senza troppi giri di parole: serve un consulente esterno.
Se stai avviando un progetto Smart Working e hai timore di incappare in una di queste trappole scarica gratuitamente il case study per capire come evitare di commettere questi errori!