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Discorsi sul metodo: Paradigm Shift – Pirotecnica e Idi di Marzo

Riccardo Malaspina Pubblicato: 11 Marzo 2021

discorsi sul metodo

La fine è vicina, squillino le trombe, tutto cada nell’oscurità assoluta. Che a segnare l’inizio della discesa nell’eternità del vuoto sia un rumore, non è mai stato un caso. Come non lo erano le astratte armonie musicali che facevano da base alle prime cosmogonie greche. Parallelamente è innegabile che la sensazione di immateriale venga spesso veicolata attraverso la mancanza di immagine e la presenza del suono. Da sempre la sonorità è legata alle sensazioni più alte e liriche della vita, e allo stesso tempo a forme che la vita non può concepire, se non nella forma del suono stesso.

Ma prima… nelle puntate precedenti:

– Abitante del luogo urla alle nuvole e scopre che può lasciare messaggi in segreteria a persone temporalmente lontane da sé.

– Abitante del luogo trova nelle immagini un principio simbolico per comprendere il reale al di fuori delle sue possibilità, inoltre prende a schiaffi i suoi simili con degli utensili (da qui nasce l’antica usanza della cucchiarella), e l’utilizzo creativo della figurazione.

– Abitante del luogo scopre i suoi simili in un tentativo di abbordaggio che da luogo al più grande social network del mondo, Facebook.

Tirando le somme – e probabilmente anche le moltiplicazioni e le potenze

Ritorniamo al tripudio dissonante di informazioni scritte e sbandierate caoticamente del mondo globalizzato. Soffermiamoci anche per poco sulla quantità soverchiante di immagini diverse e testi che ci bombardano ogni giorno e ogni minuto. Basterebbe poco per notare il dominio dei contenuti d’immagine anche in canali in cui questa non si manifesta come figura, come le pubblicità radiofoniche.

In sostanza nella grammatica mediale del consumo si fa riferimento quasi esclusivamente a contenuti e allusioni di tipo visuale e simbolico anche se il carattere strutturale di questi ultimi è sinestetico. Andando avanti nella storia abbiamo inoltre visto come i social abbiano cominciato una tradizione ibrida di fruizione immagino/testo-centrica.

Proseguiamo ogni giorno soffermandoci, ogni minuto che passa su contenuti ricchi di un significato che noi riteniamo quasi sempre causalmente e significativamente rilevanti. Guardiamo alle opere d’arte allo stesso modo, e consumiamo prodotti visuali e pubblicitari conoscendone le grammatiche pedissequamente. Puntualmente escludiamo dal nostro interesse due cose:

Non che non esista una sensibilità per percepire le sensazioni sottese e meno evidenti, ma spesso non si possiede la conoscenza grammatica e la giusta attenzione su significati dei particolari per poterne esprimere un giudizio a riguardo. L’atmosfera è ancora un incomunicabile tabù (e il fatto che esistano dei video Asmr che basano il loro successo su rumori bianchi ne è la prova, è un piacere ancora poco comprensibile e godibile, ma che nondimeno ci attira e ci soddisfa).

L’ambiente è il suono. È la terra, il rumore e il compenetrarsi degli elementi naturali. L’ambiente è quelle informazioni che solo un occhio di Leibnitz potrebbe vedere assieme alla figura totale, è la bellezza di un quadro completo, non solo nella sua cornice, ma in una inclusione architettonica, nel rumore dei passi delle persone circostante e nelle discussioni che si sollevano (tant’è che nel mondo artistico alcune opere si basano proprio sulla capacità di uno spettatore di completare mentalmente quello che manca all’interno della cornice dell’opera. E viceversa ce ne sono altrettante che caratterizzano se stesse con l’immersività totale).

L’ambiente è il sottofondo, ma anche il sottosuolo. Ciò che rende più stabile una percezione.

La musica è ambiente, e il compenetrarsi delle note è l’esempio più perfetto di quanto oltre possa spingersi la comprensione della nostra percezione, e la sua risposta.

Il suono è ambiente e il suo vessillo è quello degli invisibili. 

(O meglio l’ambiente in sé ha qualcosa di sonoro)

Parlare di suono significherebbe tante cose.

Potrebbe condurre, come le storie raccontate davanti al camino, all’intimo raccogliersi di una famiglia, al come coro del teatro greco, al giudizio morale esterno alle vicende dei mortali, tangibili attori.

Il suono è un mare pervasivo e un singolo canto di rivolta, ma anche l’ascensione lirica delle sfere celesti (facendo di nuovo riferimento all’intramontabile repertorio della filosofia greca e di Pitagora).

Il suono è un ricordo, il suono è inclusione. Se prendiamo in considerazione un film la cosa che ci rimane più impressa, anche prima delle grandi citazioni e delle icone, è, generalmente la colonna sonora. Il tripudio di immagini, o scene che siano, a cozzare con la musica, definisce ormai il nostro panorama di sensazioni rispetto ad un contenuto visuale.

E nondimeno anche la musica ha una sua grammatica, ma rimane vivo il miracolo della sensazione, cioè la magia di come la musica si traduca, come l’arte più in generale nelle emozioni che proviamo in maniera più genuina e più forte, il suono ci dà fiducia su ciò che sentiamo.

Quello che però vorrei evidenziare è un concetto leggermente diverso dal significato in sé del suono nella cultura occidentale, ossia quello dell’esperienza di un determinato evento nella sua completezza.

Quando andiamo a conoscere un determinato elemento che potenzialmente contiene significato, non conosciamo l’oggetto in sé, ma conosciamo il Fenomeno la nostra percezione dell’oggetto (che fa parte delle basi della filosofia Kantiana che andrebbe molto approfondita per avere anche solo una parvenza di serietà e rigore) in funzione del contesto, del nostro vissuto culturale e dei nostri organi sensoriali.

L’esperienza quindi la dovremmo cominciare a concepire, da una parte all’altra della fruizione come un irriducibile elemento di determinazione personale di quel che accade, anche se sono in molti in percepirla allo stesso modo.

L’esempio più famoso è quello che fa Hans Georg Gadamer nel saggio “The relevance of the beatiful” in cui parla dell’esperienza del tempo nella concezione del festival. Ed è un esempio calzante perché nel passo viene posta enfasi sulla differenza che c’è tra una misurazione del tempo matematica nell’esperienza del festival e la sua poca significazione nel processo di sviluppo dello stesso. Questo verrà invece scandito e percepito da ognuno, principalmente, al passare di determinati passaggi rituali dello stesso.

Lui pensa alle celebrazioni sacre e al processo che porta a scandire in fasi la funzione della messa (ad esempio, quanto manca alla fine della messa se siamo all’Eucarestia?) e trova nella descrizione di questo tipo di temporalità quanto di più importante ci sia nella percezione dell’esperienza umana. Un fenomeno per comprenderlo va vissuto dall’interno, e non soltanto visto (i filosofi teoretici a questo punto mi prenderebbero a sassate).

E questo si può dunque tradurre, in un linguaggio più moderno, nei vari format delle esperienze audio e video (quelle che adesso scandiscono anche su Youtube i momenti salienti) in cui puntata dopo puntata, grazie alla ritualizzazione di alcune funzioni stilistiche ci si trova orientati nel prodotto, e lo si vive più che vedere.

Tutto questo per dire che il suono, nell’esperienza di tutti i giorni, va a sopperire a delle necessità totalmente innovative, se ascritte al contesto social, e splende massimamente nella costruzione di piattaforme adatte al podcasting e per la socializzazione vocale, che sulla scala di fruizione digitale assume caratteristiche che non hanno mai avuto nei precedenti medium, finanche ad un nuovo senso di collettività.

Il podcasting delle news, ad esempio, dopo una diffusione endemica di falsi e al bombardamento di testi polarizzati, torna ad avere la necessità di contenuti fidati e di un ambiente sicuro da cui trarre informazioni, che di sicuro non saranno né più né meno vere delle loro controparti scritte, ma che sicuramente saranno percepite come più attendibili e convincenti perché poste in un ambiente più inclusivo e safe. (E c’è anche da dire che il pubblico del podcasting è diverso dal pubblico dei social generalisti).

Dall’altra parte ci sono software come Clubhouse che permettono di utilizzare la struttura social per aprire discussioni vocali su una piattaforma dedicata, è l’app del momento perché va a ricostruire l’idea di una agorà del mondo digitale in cui costruire insieme piuttosto che produrre e distruggere-commentare. La vicenda si fa interessante dal momento che anche altre piattaforme, tra le quali Twitter, hanno cominciato a implementare una sezione dedicata alla stessa funzionalità all’interno dei propri social (vedi Twitter Spaces), e ci fa capire quanto sia importante uno spazio di discussione aperto anche dentro ai confini chiusi di un mondo scritto in digitale.

Il Vil danaro – Con sorpresa

La morale, dopo quattro lunghe puntate di questa interminabile saga è che ar cavaliere nero non je devi da ca.. oltre all’importanza della memoria storica e alla conoscenza del nostro mezzo, stiamo vivendo noi stessi l’ennesimo cambio epistemico dato dalla tecnologia. Come conosceremo ancora non si può teorizzare, ma sicuramente cambierà il nostro immaginario di nuovo.

Per questo con somma gioia e infinita leggerezza annunciamo che anche Spremute Digitali cambierà veste, da qui l’apocalisse.

Ora, se la folla non ha ancora preso i forconi per falcidiarmi dopo quattro articoli e la consapevolezza di aver fatto uno spiegone di novemila parole per lanciare il nuovo sito, mi ritengo fortunato; ma mi preme sottolineare, stavolta a livello personale, quanto la creazione di una cultura sul mezzo sia importante, sia per chi riceve le informazioni, sia per chi le produce, importante per crescere come persone e come azienda, perché solo grazie alla cultura si può sviluppare una consapevolezza su quelli che sono i canali a disposizione, i loro benefici ed i loro limiti.

E per questo annunciamo che Spremute presto avrà:

E vestirà infine di una meravigliosa nuova veste grafica.

Siete pronti al lancio? Non stiamo più nella pelle. Cosa vi aspettate dal nuovo sito di Spremute?

Mi dileguo come il supercattivo che sono per evitare la forca.