New Ways of Working

Il digitale: un futuro ancora troppo lontano?

Valeria Farina Pubblicato: 23 Dicembre 2016

digitale e smart working

Nel mio ultimo articolo mi sono interrogata sul ruolo della tecnologia e del digitale nello smart working, domandandomi quanta strada resta da fare e quante possibilità si possano aprire.
Di recente leggevo che, secondo il rapporto dell’Istituto per la Competitività I-Com sulla quarta rivoluzione industriale, il nostro Paese si colloca solo al 20° posto della classifica europea. La ragione è da trovarsi nelle scarse competenze digitali che frenano il cambiamento; se non si lavora su questo fronte le opportunità offerte dalla digitalizzazione non potranno essere colte del tutto.
Insomma, il digitale è davvero il fattore chiave del cambiamento del lavoro oggi.
Ne ho dialogato con Nicola Gervasini (altra connessione nata da Spremute Digitali), che con il digitale lavora tutti i giorni, per provare a capirne assieme la connessione con il lavoro.

Digitale e smart working: cosa ne pensa Nicola Gervasini?

Q. Nicola, tu come vedi il rapporto tra digitale e lavoro?
A. Sempre più connesso direi: il lavoro che svolgiamo ogni giorno è ormai intrecciato al digitale, e non solo nel mondo impiegatizio, ma sempre più spesso, anche in ambito produttivo.
Inoltre è legata al digitale anche tutta la nostra comunicazione, anche quella personale, qui la vera sfida è di unire i due mondi e gestirli senza confonderli. La comunicazione professionale e quella personale sono molto diverse, ma possono anche utilizzare lo stesso strumento per raggiungere gli stessi interlocutori.
Q. Secondo te il digitale ha fatto la sua parte quando si parla di smart working o è ancora “ai margini”?
A. Tradizionalmente lo strumento che tutti pensano quando parliamo di “smart working” è il telefono; in Italia, infatti, lo si confonde ancora spesso con il telelavoro.
Il digitale è ancora ai margini perché fino a poco tempo fa si pensava che lo smart worker semplicemente avesse l’ufficio a casa e non in azienda; mentre oggi, se vogliamo davvero fare un passo avanti, dobbiamo iniziare a pensare che il nostro ufficio è online, su un Cloud sempre pronto per noi.
E non basta che sia un mero spazio per i files, deve essere una vera e propria replica virtuale di quello che per anni si è fatto negli uffici.
Penso che l’ostacolo maggiore sia culturale più che tecnologico: la sicurezza informatica è un tema importante ad esempio, ma per anni la soluzione è stata quella di arroccare le aziende dietro firewall che impediscono la comunicazione con l’esterno.
Con il mondo del lavoro di oggi questa visione è irrimediabilmente vecchia: il business non si sviluppa in una intranet chiusa. Questa è una delle tante sfide ancora da risolvere, che è tecnologica, ma prima di tutto necessita una nuova apertura mentale da parte del mondo manageriale.
Q. Nel tuo lavoro quotidiano come sei stimolato dallo smart working?
A. Qualche anno fa, assieme a dei colleghi, abbiamo deciso di realizzare una nuova piattaforma per la comunicazione all’interno delle aziende. Era pensata per le situazioni multi-sede, con comunicazione Voip.
Poi però ci siamo resi conto che il concetto di multi-sede era utile per le multinazionali nate negli anni 90, ma che ormai il mondo del lavoro si stava spostando verso un universo di multi-professionisti.
È bastato ragionare sul fatto che la prima vera azienda che si muove nel mondo è il singolo professionista, e che se realizzavamo qualcosa di veramente utile per lui, di conseguenza avevamo già risolto i problemi anche della più grande e complessa delle società.
Q. Questo concetto è molto interessante, quali sfide vedi nel prossimo futuro per chi, come te, tenta di facilitare il modo di lavorare dei professionisti del nostro millennio?
A. Accessibilità, Sicurezza, Multimedialità. Sono questi i tre imperativi: poter comunicare facilmente, in ogni modo e in sicurezza.
Le prime due sembrano in contraddizione, ma non lo sono con adeguati accorgimenti. La terza è poter dare tante alternative al modo di comunicare: nel nostro lavoro abbiamo bisogno di scrivere, di parlare, di comunicare velocemente, di presentare il nostro operato al mondo.
Non sarà subito facile, il mondo non è ancora allo stesso livello sia tecnologicamente (senza andare lontano, pensiamo alla pessima connettività del nostro paese), che culturalmente (l’idea che solo i grandi manager abbiano bisogno di comunicare costantemente è ancora viva, così come quella che lavorare da casa, non sia lavoro vero).
Ma il processo è già iniziato.