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Da questo strano #HomeWorking nascono vicinanza e collaborazione: rallentiamo e riflettiamo?

Valentina Marini Pubblicato: 28 Marzo 2020

relazioni home working

I figli irrompono nelle nostre video-call; si intravedono zampette di cani e gatti pronte a richiedere attenzioni; ci sono famigliari che entrano nelle nostre attività lavorative per chiederci che cosa vogliamo mangiare e per ricordarci che bisogna andare a fare la spesa in qualche modo. Ci sono suoni e rumori spesso imbarazzanti. C’è chi non si mostra, perché la tuta – giustamente – in questa situazione eccezionale non riesce a toglierla.
Cappelli che nascondono tinte che non si riescono a fare (e credetemi, uomini, questo è un problema che viene solo dopo la ricrescita delle unghie di chi ha il gel, e che ora non sa come toglierlo, tra il fastidio, il dolore della rottura delle unghie e il disgusto della poca cura). Quelle felpe preferite dai colleghi che ci portano a fare la battuta “Ma ti cambi mai?”; i caffè virtuali e il disagio per ogni rumore di sottofondo, amplificato, nelle nostre riunioni.
Ci sono persone sole perché single, o più semplicemente distanti dai propri affetti per lavoro. I nostri umori sono altalenanti. Ci chiediamo quando tutto finirà, alterniamo speranza a preoccupazione; risate a esaurimento.

Abbiamo tante domande e, mai come oggi, così poche risposte.

Fingere che la professionalità proceda come sempre, non è umano. È umano ora prendersi poco sul serio, accettando che la situazione sia diversa dal “normale”. Ecco perché trovo importante raccontarci il lato umano e vero – anche imbarazzante – di quello che sta succedendo dietro i nostri schermi, intorno alle nostre riunioni, per sentirci veramente più uniti:

home working cat

Un geniale Giovanni Scifoni ha raccontato con grande ironia, quanto veridicità, ciò che sta accadendo nelle nostre “CasOffice”. Un video in cui illustra la mente dello smart worker: “Mi senti?; Ti sento benissimo; Non ti sento!”.


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Stiamo vivendo tutti noi un’eccezionale situazione da “Grande Fratello”

Un po’ perché abbiamo una camera puntata nelle nostre case, un po’ per quella costrizione h 24 con le stesse persone, con le quali dobbiamo supportarci (e sopportarci), come capire bene la gestione della spesa per ottimizzare al meglio le poche uscite.
Ci stiamo evolvendo, o forse no. Ma dobbiamo vivere queste dinamiche che ne scaturiscono e adeguarci a questo nuovo scenario.
Nel delirio di video-call, tra piattaforme che tutti ricerchiamo (che poi c’è davvero una piattaforma migliore di altre?! Se qualcuno lo sa con estrema certezza potrebbe diventare l’influencer più in voga del momento) quasi fossero loro a garantirci quella normalità che abbiamo perso.
Nell’immersione dell’ansia da prestazione diffusa (meglio definirla “ansia da dimostrazione del lavoro”), voglio soffermarmi su ciò che sto osservando con più interesse e con la consapevolezza di vedere qualcosa di non chiaro perché incerto, proprio come tutto.
Vedo il bisogno di capacità di reinventarsi, per tutti e a tutti i livelli; sento la necessità di sintesi (perché in riunione a distanza è ancora peggio dilungarsi e non avere obiettivi chiari); respiro ovunque la forte esigenza di imparare a gestire l’incertezza, come di lasciare andare e rallentare.
Rallentare perché, come afferma Giuseppe Morici nel suo libro “Fare i manager rimanendo brave persone. Istruzioni per evitare la fine del mondo e delle aziende” trovare qualcosa (nel nostro caso un senso, nuovi modi per rialzarci), la soluzione a un problema è un po’ come trovare se stessi. E per trovarsi bisogna essere persi. E per perdersi, occorre tempo.
In questo la tecnologia non ci può aiutare, perché non può velocizzare i nostri modi di pensare; il multi-tasking è un’utopia, un concetto che la scienza ci ha dimostrato non possibile. Quindi fermiamoci con questo Switch-Tasking oggi ancor più delirante, dalle nostre postazioni statiche che non ci permettono di respirare e far fiorire la creatività.
Regaliamoci il tempo per far sì che sia vera evoluzione.
Sento il bisogno di ricordare a noi, “Smart Worker immaginari” (come racconto in un mio articolo su LinkedIn) che siamo un’elite. Questo me lo ha ricordato Clemente Perrone. Ci stiamo lamentando dei nostri disagi, ci stiamo chiedendo se è Smart Working, Flexible Working, Remote Working, Home Working, lavoro da remoto, qualcosa di indefinibile, e ci stiamo dimenticando che siamo dei fortunati, perché c’è una grande parte del nostro Paese costretta a uscire per garantirci le migliori condizioni per lavorare, come la nostra sopravvivenza.
E quindi, ancora una volta, scrivo dell’essenziale. L’articolo sopra citato l’ho chiuso con le splendide parole di Ivan Nossa, che ci invita ad esser un po’ più consapevoli dei nostri passi quotidiani, a ritrovare l’essenza nel tutto.
Questo lo chiudo con un video che sta facendo il giro del pianeta e dove il Coronavirus scrive una lettera a tutto il mondo, spiegando perché ha deciso di stravolgere le nostre vite.

Io sono di passaggio ma i sentimenti di vicinanza e collaborazione che ho creato tra di voi in pochissimo tempo dovranno durare in eterno. Vivete le vostre vite il più semplicemente possibile, camminate, respirate profondamente, fate del bene, perché vi tornerà sempre indietro con gli interessi, godetevi la natura, fate ciò che vi piace e vi appaga e createvi le condizioni per non dover dipender da nulla.