Startup & Entrepreneurship

Business Angels vs Venture Capital: cosa c’è nel mezzo?

Marta Pisani Pubblicato: 10 Maggio 2021

business angels e venture capitalist

Chi fa parte del mondo delle startup, e un founder in particolare, sa bene che il primo grande sbarramento per un “neonato” business è la fase di investimento, una fase piuttosto insidiosa per il successo o il fallimento di una startup poiché spesso le competenze principali dei founder sono sul prodotto-servizio che vogliono portare sul mercato e non su bilanci, EBITDA, accordi, aumenti di capitale o storytelling.

Nell’immenso ecosistema di startup in erba esiste una maggioranza – solitamente startup “software” – che, per poter avviare il proprio business e validare il proprio MVP (Minimum Viable Product) ha bisogno di una quantità di capitali che si colloca in genere in un range tra i 50 mila e i 200 mila euro di investimento.

Tuttavia, oltre alle startup “software”, esiste una larga fetta di imprese promettenti che necessita, invece, di un investimento iniziale che oscilla fra i 500 mila e i 2 milioni di euro, già in un round pre-seed o seed. Questo gruppo di startup offre generalmente un prodotto hardware per cui è necessario un periodo di sviluppo più lungo e una maggiore quantità di capitali.

Mentre per le startup “software” i Business Angel (BA) sono sufficienti a supportare la fase di avviamento e validazione del progetto, per le startup “hardware” l’accesso al capitale è molto più complesso e il success rate di questa prima fase è molto più basso.

Perché?

I business Angel

I Business Angel sono investitori privati con una medio-piccola capacità d’investimento – in genere fra i 10 mila e i 500 mila euro – ma che offrono anche un supporto da un punto di vista strategico, legale e consulenziale in generale. Insomma, dei veri e propri angeli custodi che proteggono la startup dalle insidie del mercato, del mondo degli investimenti e dalla inesperienza giovanile.

Questa tipologia di investitore interviene nelle fasi più embrionali, ma anche più delicate, di un business – ovvero quelle di pre-seed e seed – quando le competenze ed esperienze di un ex-imprenditore o manager sono cruciali per rendere maturo e credibile il progetto imprenditoriale al punto da essere appetibile per un investimento più cospicuo (fase di early-stage) tipicamente fatto da fondi di Venture Capital (VC).

I Venture Capital

I Venture Capital sono fondi di capitale di rischio che investono generalmente in startup early-stage, ovvero quelle imprese che hanno superato la fase di creazione di un MVP e di creazione del modello di business e sono pronte per testare sul mercato il proprio prodotto.

La quota di investimento è superiore a 500 mila euro e ogni investimento è preceduto da una due diligence, ovvero un’attività di investigazione e analisi dei dati e della documentazione che interessa la startup, al fine di valutarne eventuali rischi o problemi.

Esigenze e scenari diversi per ogni startup

In una fase pre-seed o seed, quindi, sussistono due scenari: per le startup “software” può essere sufficiente un investimento da parte di un BA, per poi passare ad una fase early-stage dove andare a “bussare alla porta” dei VC; per le startup “hardware”, – che necessitano in media di un investimento più corposo – questa soluzione non è percorribile. L’unica alternativa – tutt’altro che semplice e scopriremo a breve il perché – è quella di affacciarsi a quei VC specializzati in investimenti seed.

Dialogare con queste tipologie di fondi necessita di esperienza e competenze che, certamente, potrebbero essere offerte da un BA; tuttavia, come detto poc’anzi, è molto difficile che una startup “hardware” possa beneficiare di queste competenze.

Il risultato è quindi una startup in balia degli eventi che cerca di racimolare fondi qua e là per dare forma alla propria tecnologia un pezzetto alla volta, senza mai potercisi dedicare al 100%, spostando gran parte dei propri sforzi sul fundraising e sulla preparazione per due diligence e contratti e impiegando una larga fetta dei fondi FFF (Family, Friends & Fools) per consulenze con legali e IP lawyer e non per l’effettivo sviluppo tecnologico.

È proprio a causa di questo gap tra supporto di un BA e di un VC che accade spesso che startup “hardware”, anche molto promettenti, falliscano miseramente per mancanza di strumenti adatti alle proprie peculiarità, come ci fa capire PwC in uno studio che afferma che le società oggetto di investimento sono state caratterizzate da un tasso di crescita dei ricavi pari all’11,7%, contro il 4,1% del campione di riferimento.

Come rispondere allora a questa specifica esigenza?

La Startup House

Una best practice per i VC che si concentrano su investimenti seed e che può ispirare per una naturale evoluzione del loro modello di business è la Startup House. Il concetto è quello di fornire alle giovani startup uno spazio dove non solo vivere, ma soprattutto coltivare il proprio progetto imprenditoriale. Una Startup House, infatti, fornisce ai propri imprenditori una serie di servizi e benefit: alloggio, utenze, internet a fibra ottica e, soprattutto, mentorship e connessioni con partner e manager leader di settore, supporto all’avvio del business e una generale condizione di contaminazione di idee e input. L’unica richiesta che viene fatta a coloro che vengono accettati nel programma è quella di dedicarsi al proprio progetto imprenditoriale al 100%. Proprio quello che ogni founder sogna e desidera dal primo momento!

Un nuovo modello di business per i VC a vantaggio delle startup

Prendendo il modello delle Startup House come base, e aggiungendoci la forza economica di un Venture Capital, potrebbero nascere delle nuove realtà che forniscono supporto sia da un punto di vista manageriale ed imprenditoriale, sia da un punto di vista finanziario.

I VC focalizzati sulle startup in fase seed, quindi, potrebbero rispondere all’esigenza delle startup “hardware” – e non solo – fornendo loro un percorso di mentorship simile a quello fornito dalle Startup House: un periodo di incubazione in cui la startup sviscera assieme al team del VC tutti gli aspetti utili per valutare la sostenibilità finanziaria del modello di business – anticipando di fatto gran parte della futura due diligence – le partnership strategiche necessarie e la tipologia di accordi interni ed esterni a cui la startup potrebbe andare incontro una volta iniziato il suo percorso post-money.

Questo modello presenta, ovviamente, vantaggi per entrambi gli attori: da una parte, il VC avrebbe come beneficio quello di ridurre l’investimento iniziale con la conseguente possibilità di vagliare più startup, diversificando il portfolio e avvantaggiandosi dell’effetto “ecosistema” tipico delle Startup House; in più questo approccio permetterebbe al VC di preparare meglio le startup a dialogare con realtà più istituzionali e, al contempo, di effettuare la due diligence “dall’interno”, in modo da valutare se completare esso stesso l’investimento o meno, se completarlo interamente con capitale proprio o se coinvolgere investitori terzi o partner industriali che co-finanzino il progetto.

Dall’altra parte, le startup potranno avvicinarsi al mondo dei capitali in maniera più agile e con barriere meno stringenti, potranno crescere e strutturarsi conoscendo già le esigenze primarie dei loro potenziali interlocutori finanziari, avranno accesso al network del VC e avranno tutto il supporto legale per dialogare con altre realtà finanziarie, istituzionali ed industriali, ben protette dal brand e dalla credibilità della VC-Startup House.

Questo approccio permetterebbe, quindi, alla startup di ottimizzare i suoi sforzi sulle attività veramente a valore aggiunto e alla VC-Startup House di aumentare immensamente le chance di successo dei propri investimenti diretti ed indiretti: un modello win-win per creare ecosistemi più efficaci in un mondo dove la contaminazione e l’innovazione viaggiano ormai di pari passo.