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Discorsi sul metodo – Verso la Blockchain attraverso il mercato dell’arte

Riccardo Malaspina Pubblicato: 29 Luglio 2021

l'arte digitale

L’attuale mondo dell’arte è frammentato.

No, aspetta, non mi piace,

L’attuale mondo dell’arte è in crisi. Così va meglio

Ma è in crisi dagli ultimi duecento anni o più, quindi niente di nuovo.

È una costellazione, o un fascio di costellazioni, frammentato e denso, al punto che, presi arbitrariamente due pezzi nello stesso catalogo di museo, l’unica cosa che li accomuna, e aggiungo forse, è il fatto che questi abbiano un effettivo valore di mercato, o al massimo, il “Bollino istituzionale” ossia quella meravigliosa sensazione di appartenere a una esposizione museale, o a un allestimento.

Partiamo, come al solito da una domanda:

Cosa definisce l’arte come arte?

La domanda del “Chi vuol essere milionario” da 512.000 euro.

C’è generalmente chi parte dall’assunto ontologico, chi si batte per una validazione sociologica, fino ad arrivare alle definizioni puramente dettate dal valore storico od economico.

Se questa frase vi sembra arabo, avete ragione.

Sono questioni facilmente risolvibili sul momento, proprio come aprire una scatoletta di tonno.

Spoiler: chi è riuscito a svenire dopo essersi tagliato con una di esse? Proprio io.

Di certo parlare delle varie diramazioni del pensiero contemporaneo riguardo le teorie dell’arte non è una cosa che crea una fila infinita per sentirla, quindi andiamo avanti stendendo un velo pietoso.

Quello che spesso passa in sordina, rispetto ai vari approcci di cui sopra, che vengono, l’una e l’altra, vuoi e non vuoi, da un po’ tutte le varie filosofie del mondo, è il cambio epistemologico sul nostro modo di percepire le forme artistiche e come variano nel contesto, e come questo influisca sui temi di cui sopra.

Un passaggio ulteriore che va a stabilizzare delle vere e proprie narrazioni che altrimenti si sfalderebbero.

Partiamo da un concetto.

L’interessante

Che cos’è?

Fino a qualche secolo fa era una categoria estetica secondaria, un qualcosa di relegato sotto al sublime, e neanche bello fino in fondo.

Boh, sì, carino, ci ho passato 40 secondi buoni a guardarlo, boh.

Era un sentimento, per chiamarlo così, come tanti, ma molto più ordinario.

Quindi, cosa? Un secolo dopo, nei primi decenni del 2000 è diventato così importante da avere dedicatagli una biennale. May you live in interesting Times è l’esempio calzante di quanto sia irrotto con forza nelle nuove arti contemporanee, soprattutto quella digitale.

La mostra valorizza gli “aspetti precari della nostra esistenza attuale, fra i quali le molte minacce alle tradizioni fondanti, alle istituzioni e alle relazioni dell’ordine postbellico”. Tradotto, ammettono che l’arte nell’ambito politico è impotente, ma ha una funzione sociale inestimabile; la mostra si sarebbe quindi incentrata sui cambi di paradigma portati da artisti che “mettono in discussione le categorie di pensiero esistenti e ci aprono a una nuova lettura di oggetti e immagini, gesti e situazioni”.

Tutto questo spiegotto, che generalmente farebbe la nostra mascotte, per dire che, con amarezza , almeno ad una esperienza personale, la mostra lascia irrisolte almeno una umile domanda e una tematica fondamentale:

La domanda è: interessante per chi?

A differenza di bello, o profondo, che hanno una pretesa di universalità, interessante è un termine che denota di per sé la transitività dell’azione.

Andiamo al punto. L’interessante che viene presentato a quella mostra lascia un vuoto enorme sui nuovi metodi di fruizione digitale.

Ed eccoci, finalmente siamo arrivati al primo nucleo della questione, detta così sembra particolarmente retorica, ma tutto sembrava già visto, lo so che non è una argomentazione quella costruita sulle mie sensazioni, ma qui nasce la seconda domanda:

Come faccio a sentirmi escluso da quella che definiscono come una aggregazione di fenomeni interessanti? O meglio perché?

Nell’esperienza di millennials e zoomer, perché l’interessante è sentito come un qualcosa di così totalizzante che se l’attenzione non viene catturata sotto ogni, allora il resto è noia?

Beh le risposte in realtà sono quasi autoevidenti, ma andiamo con ordine.

Giovani e Digitale

Perché non andiamo d’accordo col senso di catchy delle generazioni passate?

Cosa abbiamo noi nativi digitali di diverso?

Siamo sempre più abituati a modelli di fruizione dell’arte Social. E questo comporta un cambiamento in come ci viene presentata l’arte.

In questo momento non sto parlando da studioso, ma da persona che segue pagine su instagram. La questione radicalmente problematica alla base è questa:

Stanno cambiando i tempi e i luoghi.

La fruizione digitale dell’arte, come del resto succede per la cultura meme, opera su cluster di interesse che vanno, seguendo la logica algoritmica della fruizione social, quasi ad autosegregarsi o a costruire degli storytelling e dei seguiti propri, come delle bellissime torri d’avorio, con grammatiche particolari.

Si seguono pagine che condividono opere, o foto di opere, che si ritengono interessanti, piacevoli, appealing a livello intellettuale, e l’algoritmo fornirà sul feed altrettante opzioni che verranno riconosciute come affini ad esse. Insomma, diventa importante comprendere non chi si approccia all’arte, bensì come, anche in funzione di una presentazione automatizzata.

Una sola opera, alla Biennale, mostrava l’aggregazione di dati come elemento di rilevanza artistica, ma di certo non era un leitmotiv capace di dare voce alle questioni digitali, che accompagnava il senso di interessante della mostra.

Esistono pagine e gruppi di pagine, adibiti ad hoc al repost di: clip di film, foto, opere interamente digitali, con un sistema di credito e menzione che favorisce l’interconnessione e la creazione di network artistici, ma anche alla pratica del più barbaro Freebooting, termine spregiativo che si usa nel caso in cui una pagina si appropria di contenuti altrui e non crediti l’autore originale.

Del resto, la questione dell’arte digitale sta diventando sempre di più una questione di arte social, arte che crea relazioni e condivisione di sentiment, per emergere nel mercato è importante essere noti.

Quello che sta accadendo, che per giunta è il nostro tema, e che manca alla biennale, è la manifestazione di una enorme trasformazione nei tempi di fruizione e nell’aggregazione dei contenuti artistici digitali.

Ciò, ha delle conseguenze sia sull’esperienza artistica che sulla concezione stessa di consumo.

La biennale, in questo breve racconto estemporaneo, non è riuscita a cogliere il senso di massa che la quantità di immagini e temi che arrivano nei nostri feed ci hanno abituato a ricevere ogni giorno. Una quantità spropositata di tropi che ci portano al distacco dal concetto di interessante per come è posto nei confronti di generazioni diverse e diversificate, e a una dissonanza cognitiva, quella della biennale che non riesce a non illudersi di aver raggiunto tutti.

Un deragliamento insomma, del sistema pubblicitario e di targettizzazione che va a collidere con la vita di tutti in maniere particolarmente inusuali.

Come si sopperisce a questa richiesta adesso?

In questo preciso momento storico, rispondere a questa domanda equivale a fare il danaro.

Nel prossimo episodio parleremo dell’intrattenimento, dei servizi di streaming e di come questi si relazionino all’arte, stay tuned.

Per arrivare alla Blockchain ancora ci vuole un poco.

Si è un Discorsi episodico, preparati…